14 Maggio
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Vigneti più sostenibili con i vitigni resistenti

Negli ultimi anni il settore vitivinicolo ha concentrato il proprio impegno nella ricerca di metodi di coltivazione sostenibile a basso impatto ambientale, biologico in primis, cercando così di dare risposte concrete al mondo del consumo, sempre più attento ai temi del rispetto dell’ambiente.

In questo contesto viene valutato con crescente attenzione l’impiego in viticoltura dei vitigni resistenti, conosciuti anche con l’acronimo Piwi, per la produzione di vini di qualità.

Il termine Piwi, Pilzwiderstandfähig, che tradotto dal tedesco significa resistente ai funghi, indica una serie di vitigni ottenuti tramite impollinazione tra Vitis vinifera e vite americana in grado di opporsi naturalmente a malattie fungine come oidio e peronospora, ovvero l’incubo di tutti i vignaioli.

Nei vigneti in conduzione biologica il loro utilizzo può rappresentare un decisivo aiuto alla riduzione dell’impiego di rame e zolfo, limitando a un massimo di 2-4 i trattamenti nel corso dell’anno e diminuendo così sensibilmente l’impatto ambientale anche di questo tipo di coltivazioni.

La maggior parte delle varietà dei vitigni resistentiproviene dalla Germania, che da sempre è stato il Paese più attento a questa tipo di coltura, seguito da Austria e Svizzera.

In Italia la storia dei vitigni resistenti è abbastanza recente, basti pensare che fino a una decina di anni fa la loro coltivazione era vietata.

Le regioni italiane che oggi adottano impianti con vitigni resistentie che ne incrementano lo studio sono prevalentemente il Veneto, il Trentino Alto-Adige e il Friuli Venezia-Giulia.

Il quadro normativo nazionale esistente sottopone però questi vitigni a precise restrizioni e ne vieta l’impiego per la produzione di vini a doc e docg.  

Ma la necessità di coltivazioni sempre più sostenibili ha portato a valutare attentamente nelle proposte di riforma della Pac l’impiego di questi vitigni nella produzione dei vini di qualità e cresce il numero di coloro che ritengono che la ricerca su di essi non deva fermarsi al laboratorio e ai campi sperimentali, ma arrivare al vigneto per valutarne concretamente l’impatto sulla qualità dei prodotti, in particolare quelli a denominazione d’origine.

La possibilità di inserirli nei disciplinari di produzione dei vini doc e docg con una chiara regolamentazione infatti ne faciliterebbe l’impiego, con vantaggi ambientali, di salute e di immagine nell’opinione pubblica.

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