Semi antichi e piante rare: in Italia li coltivano oltre 40mila agricoltori
Sono oltre 40mila gli agricoltori italiani che nel 2016 si sono dedicati alla coltivazione di semi antichi e piante rare della Penisola, salvandole dal rischio di estinzione e preservando la biodiversità.
È quanto emerge dall’analisi Coldiretti/Ixè, presentata insieme alla SIS, la Società Italiana Sementi, sul ritorno dei semi antichi della tradizione italiana che, dopo aver rischiato di sparire dalle tavole, sono stati riscoperti per le caratteristiche specifiche di resistenza e per le proprietà distintive, a tutela del patrimonio alimentare, culturale e ambientale del Belpaese.
Secondo Coldiretti e SIS, la concentrazione di semi nelle mani di pochi, favorita della crescente omologazione delle coltivazioni, determina il pericolo di indirizzare la produzione esclusivamente verso le colture più diffuse. Ciò avviene proprio in un momento in cui i cambiamenti climatici e il conseguente insorgere di nuove fitopatologie richiederebbero, invece, interventi per tutelare adeguatamente il lavoro dei produttori che hanno puntato sulla qualità e sulla biodiversità.
A questa situazione, SIS, la maggiore società sementiera italiana, risponde con la prima produzione certificata del grano duro “Senatore Cappelli” che, con 1.000 ettari coltivati nel 2016, è stato il grano duro antico più seminato in Italia. Nel 2017 la produzione è stata pari a 2,5 milioni di chili, risultando quasi il doppio dell’anno precedente, in controtendenza con la diminuzione di semine che ha caratterizzato l’Italia (-8%, dati Crea).
Con oltre 100 anni di storia alle spalle, il “Senatore Cappelli”, dopo essere arrivato a coprire più delle metà delle coltivazioni italiane di grano duro, ha rischiato di scomparire, tanto che nel 1996 la produzione era appena di 10mila chili.
A riportarlo sul mercato hanno contribuito, oltre alle grandi qualità nutrizionali, le caratteristiche agronomiche: si tratta, infatti, di un grano facilmente adattabile ai terreni siccitosi, data la bassa necessità di acqua, nonché dotato di una buona resistenza alle malattie, cosa che lo rende ideale per la coltivazione biologica.
Ma la riscoperta dei semi antichi e delle piante rare passa anche attraverso i semi di riso, come il “Lido” che, dopo essere quasi scomparso agli inizi degli anni ’90, torna in produzione perché sta conquistando il palato dei Giapponesi.
Oppure la storica erba medica “Garisenda”, ottenuta con un attento lavoro di selezione dei semi delle piante migliori di una varietà romagnola, capace di resistere in terreni siccitosi e in aree marginali e di fornire fieno e farina disidratata per un’alimentazione animale priva di Ogm.
Su una superficie di 14mila ettari di terreni che vanno dalle Alpi alla Sicilia, l’attività della SIS, sia nel recupero di antiche varietà che nella di ricerca di nuove sementi, è tesa a ripristinare il legame tra seme e territorio, cogliendone gli aspetti peculiari, così da valorizzare ciascuna varietà nello specifico dei suoli, del clima e dell’acqua tipici delle aree in cui sarà coltivata.
(© Osservatorio AGR)