28 Febbraio
politiche

Riso, i produttori europei chiedono di rivedere norme sulle importazioni

Una revisione del complesso di norme che regola l’importazione di riso dagli Stati extracomunitari. È quanto chiedono alla Commissione europea i maggiori Paesi produttori dell’Unione – Italia, Spagna, Portogallo, Grecia, Francia, Bulgaria e Ungheria – recentemente riunitisi a Milano per il primo “G7” risicolo. Le rappresentanze di coltivatori e trasformatori del cereale bianco hanno stilato un documento indirizzato all’Esecutivo di Bruxelles, nel quale evidenziano come l’azzeramento dei dazi deciso nel 2009 sulle importazioni dai Paesi meno avanzati, quali Cambogia e Myanmar, abbia determinato una situazione di squilibrio sul mercato comunitario, dove il consumo di riso è coperto ormai per il 50% da prodotto di importazione, che per i 2/3 non paga dazi. Come conseguenza si è avuta la riduzione del 40% della superficie europea coltivata a riso di varietà Indica, associata a un forte calo dei prezzi.

 

Sono cinque le richieste formulate dai rappresentanti della filiera risicola all’interno del documento da consegnare alla Commissione europea:

 

1) il riconoscimento della qualifica di sensibilità per il comparto riso, cosa che consentirebbe di non applicare concessioni alle importazioni di riso da Paesi extracomunitari;

 

2) la rimozione degli ostacoli, veri o presunti, che impediscono l’effettiva applicazione della “clausola di salvaguardia” nei confronti delle importazioni dai Paesi meno avanzati;

 

3) la fissazione di regole reciproche sia tra gli Stati membri dell’UE sia tra gli Stati membri dell’UE e i Paesi terzi, sia in ambito fitosanitario sia in ambito commerciale, per favorire un mercato trasparente nel rispetto dei diritti sociali e dei lavoratori;

 

4) il mantenimento della qualifica di “specificità” del settore riso nell’ambito della prossima pianificazione della Politica Agricola Comune;

 

5) l’attuazione di campagne promozionali finanziate con fondi comunitari per incrementare il consumo di riso coltivato nell’Unione europea.

 

«Non chiediamo il “protezionismo”, ma una forma di difesa: il libero scambio senza regole non può funzionare» dichiara Paolo Carrà, presidente dell’Ente nazionale risi. «Abbiamo stimato che con questa situazione arriveremo al 31 agosto di quest’anno con oltre 500 mila tonnellate di stock di riso lavorato invenduto, si tratta del 30% della produzione UE. Tra l’altro – sottolinea Carrà – la liberalizzazione dei dazi non ha favorito i Paesi asiatici, bensì le multinazionali che sfruttano i Paesi più poveri, aprendo in loco stabilimenti di trasformazione».

 

(© Osservatorio AGR)

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