Ministro Martina: gli accordi commerciali servono soprattutto ai piccoli produttori
«Per il bilancio delle nostre aziende, per il mantenimento e la creazione di posti di lavoro, le esportazioni sono e saranno sempre di più una voce indispensabile. Che passa dunque da buoni accordi internazionali di protezione e promozione. Altro che dazi, dogane e barriere». È quanto scrive il Ministro delle Politiche agricole, alimentari e forestali Maurizio Martina, in un articolo pubblicato su Il Foglio lo scorso 7 febbraio.
«Per un sistema agroalimentare come quello italiano, composto da un tessuto di migliaia di piccole e medie imprese capaci di creare valore aggiunto e guardare al mondo, poter esportare è ovviamente cruciale. Non è un caso che negli ultimi dieci anni le nostre esportazioni agroalimentari siano raddoppiate arrivando a superare nel 2016 la cifra record di 38 miliardi di euro. Se scattassero dazi e barriere tariffarie, l’effetto sarebbe devastante. Lo abbiamo visto con l’embargo russo su alcune categorie di prodotto, che ha generato una crisi pagata soprattutto da piccoli e incolpevoli agricoltori e allevatori europei».
Secondo Martina «un buon accordo commerciale oggi può servire di più a un piccolo allevatore produttore di Parmigiano Reggiano a Bibbiano, sulle nostre colline emiliane, che non a qualche grande azienda alimentare. Dunque, far ripartire i Trattati per Bibbiano, prima ancora che per Bruxelles o per Washington, è una sfida che merita un grande impegno. A maggior ragione visto lo scenario generale: la fine dell’esperienza Obama lascia oggettivamente un vuoto politico nel campo progressista che va colmato, anche se, purtroppo, all’orizzonte non si vedono ancora leadership riformiste in grado di organizzare questo rilancio».
«Serve», continua il Ministro, «una nuova via alla globalizzazione che parta da regole chiare, condivise, semplici. Dove la politica svolga il suo ruolo fino in fondo, garantendo tutele soprattutto ai deboli. Avere ad esempio accordi di protezione delle indicazioni geografiche significa poter tutelare fino in fondo il sistema di qualità che c’è dietro la sua produzione. Senza regole vincono la contraffazione, l’omologazione, e le grandi dimensioni di chi riesce a essere comunque sovranazionale. Senza regole la politica abdica al suo ruolo e si limita ad assistere».
(© Osservatorio AGR)