Meno 5% il raccolto di soia in Italia
Crescono del 10% le superfici destinate alla coltivazione della soia in Italia, primo produttore nell’UE, ma il raccolto di quest’anno si riduce di circa 100.000 tonnellate rispetto alla scorsa campagna.
Lo rende noto il Cai, Consorzi Agrari d’Italia, sulla base dei dati della trebbiatura ormai conclusa nelle zone a maggiore vocazione, concentrate nelle regioni del Nord-Est del paese.
Nel 2021 le superfici destinate all’oleaginosa hanno oltrepassato la soglia dei 350.000 ettari, rispetto ai quasi 320.000 dello scorso anno (+10% circa).
Una crescita, quella degli investimenti, che ha compensato, sia pure parzialmente, la riduzione di resa, per gli sviluppi climatici negativi, limitando a un meno 5% il calo del raccolto 2021, stimato attorno a un milione di tonnellate.
Grazie alle forti pressioni all’acquisto sui mercati internazionali, i prezzi dei semi di soia sono sensibilmente aumentati quest’anno, beneficiando di rincari a due cifre anche in Italia. Alla Borsa Merci di Bologna i valori attuali si attestano poco al di sotto dei 600 euro/tonnellata, contro i 385 euro dello scorso anno, facendo segnare in media un aumento di oltre il 50%.
Nonostante il primato in Europa per capacità produttiva, l’Italia, come il resto dei paesi europei, mantiene una forte dipendenza dall’estero per l’approvvigionamento di soia e prodotti derivati, destinati prevalentemente alla mangimistica.
Secondo Consorzi Agrari d’Italia, per compensare il deficit interno, anche quest’anno l’Italia importerà semi e farine di soia per un totale di almeno 3 milioni di tonnellate.
Per quanto attiene agli impieghi, circa l’80% della materia prima è avviata alla produzione di oli e farine particolarmente indicate, come accennato, per l’alimentazione animale, mentre il restante 20% è destinato al consumo umano.
Il mercato mondiale è dominato dai due grandi produttori, rappresentati nell’ordine da Brasile e Stati Uniti. Dopo la Cina, l’Unione europea è il maggiore importatore di soia, davanti a Messico e Egitto, mentre il primo esportatore è il Brasile, seguito dagli Usa e a parecchia distanza da Paraguay e Argentina.