28 Gennaio
imprese & mercati

L’olivicoltura italiana va rifondata

I dati produttivi della campagna olearia 2020 in Italia, che dovrebbero attestarsi intorno alle 250.000 tonnellate, dimostrano ancora una volta che nel nostro Paese il declino di questo settore non sembra arrestarsi.


I numeri parlano chiaro: dal 2000 al 2010 la produzione nazionale di olio d’oliva non è mai scesa sotto le 500.000 tonnellate, superando più volte le 600.000. Se pensiamo che nel 2016 e nel 2018 siamo scesi addirittura sotto le 200.000 tonnellate appare evidente che qualcosa non funziona nell’olivicoltura italiana. E non si tratta solo di eventi meteorologici legati al cambiamento climatico, che pure ci sono, o di nuove avversità come la xylella: si tratta evidentemente di un problema strutturale.


Lo dimostrano, ancora una volta, i dati: secondo Ismea solo il 37% delle aziende olivicole italiane sono specializzate e in grado di sostenere la competitività del mercato. Il restante 63% possono essere considerate aziende marginali, per lo più familiari e orientate prevalentemente all’autoconsumo o poco più.


Detto in altri termini: la maggior parte della superficie a olivo (stiamo parlando di circa 1.180.000 ettari, la prima coltivazione in Italia) non è gestita in modo professionale ma è poco più che un hobby. Più giardinaggio che agricoltura.


Tanti oliveti, soprattutto nelle zone interne collinari, sono abbandonati a sé stessi, senza interventi colturali e senza irrigazione.


Di fronte a un quadro del genere quello che serve è una nuova stagione di investimenti, che punti all’utilizzo di tecniche razionali per aumentare la redditività, tanto più se pensiamo che un oliveto moderno e ben condotto ha una redditività molto interessante, superiore a quella dei seminativi.


Per dare reddito all’olivicoltura servono nuovi impianti, intensivi e superintensivi, ma con varietà italiane, e la possibilità di irrigare.


Ovviamente questo non vuol dire che bisogna togliere di mezzo tutti gli olivi secolari, che in Puglia trovano la loro massima valenza paesaggistica. Bisogna anzi tutelarli con aiuti specifici ai proprietari perché hanno un alto valore ambientale e turistico, ma per produrre olio di qualità e in quantità economicamente rilevanti occorre investire nella modernizzazione degli impianti.


L’occasione da non perdere è quella della prossima ocm, che metterà a disposizione del comparto circa 34 milioni all’anno. Al loro corretto utilizzo è legato il futuro dell’olivicoltura italiana.

Cattolica Assicurazioni S.p.A.

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