L’export agroalimentare italiano riprende a correre
Quest’anno, per lo meno nel dato Istat ancora parziale riferito al primo trimestre, il fatturato estero del made in Italy agroalimentare, ha già superato i 10 miliardi di euro, mettendo a segno un progresso del 5,3% su base annua. Una dinamica nettamente più sostenuta se rapportata al 2% di crescita dell’export nazionale nel suo complesso. Da rilevare, tra l’altro, che al buon ritmo di crescita delle esportazioni si è contrapposto un andamento delle importazioni stagnante per l’agroalimentare (+0,3%).
E che sarà l’agroalimentare, insieme ad altri comparti di punta del made in Italy, come farmaceutica e abbigliamento, a sostenere quest’anno l’export nazionale lo conferma anche il «Rapporto Export 2019» di Sace Simest, società del Gruppo Cassa Depositi e Prestiti specializzate nei servizi assicurativi e finanziari per l’internazionalizzazione.
Lo studio prevede, nell’evoluzione di quest’anno, una minore divaricazione nei ritmi di crescita tra i diversi settori rispetto agli ultimi dodici mesi e tassi, per i prodotti di punta, comunque compresi tra il 3,1 e il 3,8%.
Posizionato nella parte alta di questo range, l’export di prodotti agricoli e alimentari dovrebbe fare da traino, crescendo a un ritmo annuo vicino al 4%. Marceranno a passo sostenuto anche le esportazioni di beni intermedi e di consumo, mentre macchinari e attrezzature, classificati come beni di investimento, peso massimo dell’export tricolore con il 40% di incidenza sul totale, cresceranno a un ritmo verosimilmente inferiore, attorno al 3%, – stimano Sace Simest – scontando a consuntivo anche le difficoltà di tenuta del settore automotive.
L’anno scorso l’export di prodotti agricoli e alimentari, bevande incluse, si è fermato a 41,8 miliardi di euro, registrando una forte decelerazione della crescita al +1,2%, contro il +7,4% del 2017.
Quello dei 50 miliardi di esportazioni agroalimentari al 2020 sembra dunque un risultato alla portata del sistema, a patto però che l’Italia sappia chiudere in tempi brevi accordi commerciali bilaterali con quei Paesi che presentano mercati molto promettenti, su tutti la Cina, e adottare efficaci politiche nazionali per l’innovazione e l’ammodernamento infrastrutturale.