L’agricoltura meridionale è in recessione
La stagnazione economica che ormai
da tempo caratterizza l’Italia assume contorni ancora più preoccupanti nelle
regioni del Sud: lo certifica l’ultimo rapporto dello Svimez che segnala come
il Meridione perda colpi rispetto al Centro-Nord.
Quest’anno, mentre l’Italia si ferma il Sud entra in recessione. Pesano soprattutto
l’interruzione della crescita occupazionale e la persistente debolezza
dell’intervento pubblico, con la spesa per investimenti che ha subito un vero e
proprio tracollo negli ultimi 10 anni per una carenza di risorse, ma
soprattutto per vincoli burocratici e incagli amministrativi.
In questo quadro neanche dall’agricoltura arrivano segnali di ripresa: il valore aggiunto, che esprime la dimensione del pil del
settore, si
è ridotto nel Mezzogiorno del 2,7% negli ultimi 12 mesi, mentre
è aumentato del 3,3% nel resto d’Italia.
Un diverso ritmo di marcia che, secondo i ricercatori dello Svimez, è
riconducibile non solo a fattori climatici oggettivamente difficili, ma
anche alla difficile situazione dell’olivicoltura, specialmente in
Puglia, e all’ormai fisiologica contrazione della produzione di agrumi.
Il segno meno nelle campagne del Mezzogiorno vale molto più che nel resto
d’Italia, se si considera che al Sud gli occupati del settore agricolo
ammontano a 528.000 unità, quasi il 60% dell’occupazione agricola nazionale.
Un altro nodo è rappresentato dalle possibilità di un ricambio generazionale,
che nel Mezzogiorno, in particolare nel settore agricolo che più di altri
sconta gli effetti di un’elevata senilizzazione, si scontrano con dinamiche
demografiche particolarmente negative. Dall’inizio del nuovo secolo – spiega lo
Svimez – le regioni meridionali hanno perso oltre 2 milioni di residenti, per
metà giovani fino a 34 anni e per quasi un quinto laureati.
In agricoltura gli investimenti sono parte essenziale di un nuovo percorso,
scrivono gli esperti. Ma i finanziamenti comunitari della politica di sviluppo rurale non
dimostrano, allo stato attuale, una grande capacità d’urto, sia per la carenza delle risorse
finanziarie, sia per i lunghi tempi di erogazione.