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Il mal d’esca delle viti si cura con la dendrochirurgia
La dendrochirurgia potrebbe rappresentare la nuova frontiera per salvare i vigneti dal mal d’esca, la grave patologia causata da una varietà di funghi che, colonizzando il legno e i vasi linfatici delle piante, compromette il passaggio dell’acqua e di tutte le sostanze nutrienti necessarie alla loro sopravvivenza.
In assenza di mezzi in grado di contrastare efficacemente la malattia, non resta altro da fare che estirpare le viti infette ed eventualmente sostituirle.
Gli specialisti di Simonit&Sirch-Preparatori d’uva, tramite ricerche bibliografiche, hanno trovato testimonianza di una tecnica chirurgica praticata già alla fine dell’Ottocento, e hanno deciso di sperimentarla con l’ausilio di nuovi strumenti e conoscenze. I risultati sembrano davvero incoraggianti: oltre il 90% delle piante trattate è stato completamente recuperato.
L’intervento praticato può essere paragonato a quanto fa un dentista per curare una carie: utilizzando delle piccole motoseghe, si apre il tronco e si asporta la parte intaccata dal mal d’esca. La pianta, ripulita e “disintossicata” dalla malattia, riacquista nel giro di poco tempo vigore, riprende a fruttificare e torna pienamente produttiva già dall’anno successivo.
I vantaggi derivanti dall’utilizzo di questa tecnica sono notevoli, sia per la qualità dei vini che per la ricaduta economica. Infatti estirpando le viti malate e sostituendole con nuove barbatelle si crea nel vigneto una disparità della qualità delle uve, che influisce sia sulla qualità sia sulla quantità del vino. Avere invece delle piante più longeve possibili è un’esigenza prioritaria per tutti i vignaioli, ma soprattutto per le più importanti case vinicole internazionali, dato che garantisce la continuità qualitativa e la riconoscibilità dei loro grandi vini.
La dendrochirurgia consente inoltre alle aziende cospicui risparmi, evitando il costo del reimpianto (estirpo delle viti malate, escavo delle buche, impianto delle barbatelle, allevamento) e ovviando alla mancata produzione da parte delle nuove piante per almeno 3 anni.
Le prime prove sono state condotte nel 2011 a Chateau Reynon, quindi da Schiopetto in Friuli e da Bellavista in Franciacorta. In sei anni di lavoro e sperimentazione, sono state “operate” 10.000 piante di diverse varietà (Sauvignon blanc, Chardonnay, Cabernet, Sauvignon, Cabernet Franc, Pinot nero) in vigneti italiani e francesi di varie regioni viticole: Collio, Isonzo, Franciacorta, Bolgheri, Champagne, Borgogna, Bordeaux. In 4 anni – dal 2013 al 2016 – sono tornate produttive il 90% delle piante di Sauvignon operate nell’azienda Schiopetto e il 96% di quelle di Chateau Reynon.
A fronte di questi ottimi risultati, l’applicazione della tecnica deve ancora essere perfezionata: resta ad esempio da verificare quale sia il miglior periodo dell’anno per intervenire e con quale frequenza occorra farlo.
(© Osservatorio AGR)