Dazi Usa: vino e olio italiani con il fiato sospeso
La possibilità che sui vini e sugli oli italiani esportati
negli Stati Uniti si abbatta una mannaia sotto forma di dazi fino al 100% fa
tremare i nostri produttori. La minaccia è concreta, perché l’Organizzazione
mondiale del commercio (Wto) ha autorizzato gli Usa a imporre nuovi dazi legati
alla vicenda Boeing-Airbus e l’amministrazione americana può liberamente
scegliere quali prodotti colpire.
Il rischio che i dazi devastino il mercato è chiaro non solo in Europa, ma
anche negli Usa: le due principali organizzazioni del settore vitivinicolo
nell’Unione europea e degli Stati Uniti, il Comité Européen des Entreprises
Vins (Ceev) e il Wine Institute, hanno firmato una dichiarazione di principio
che chiede la completa eliminazione delle tariffe e l’esclusione del vino da
controversie commerciali su altri settori.
A inizio settimana il commissario europeo al commercio Phil Hogan è volato
negli Stati Uniti dove, tra i temi più scottanti che dovrà discutere con le
autorità americane, c’è ovviamente quello dei dazi attualmente in vigore e di
quelli per il momento minacciati.
«Ci auguriamo che la missione di Hogan possa scongiurare ciò che riteniamo
essere un vero e proprio agguato commerciale ai danni dell’agroalimentare
italiano ed europeo» ha detto il direttore generale di Veronafiere,
Giovanni Mantovani.
«Inutile dire – ha aggiunto – come per il comparto vino la preoccupazione sia
enorme: basti pensare che, complici anche le scorte accumulate nei mesi precedenti,
i vini fermi francesi sottoposti all’extra-dazio del 25% hanno registrato un
calo di vendite negli Usa del 36% a valore nel solo mese di novembre rispetto
alla stessa mensilità sul pari periodo 2018».
«Contestualmente – aggiunge Mantovani – secondo il nostro Osservatorio Vinitaly
Nomisma Wine Monitor, l’Italia ha chiuso il mese con una crescita di quasi il
10%. Ora, con la calamità delle possibili imposte aggiuntive, la produzione
interna non sarà in grado di soddisfare la domanda e l’Europa rischia così di
perdere quote di mercato difficilmente recuperabili in futuro, a tutto
vantaggio del Nuovo Mondo produttivo».