Brexit, ultima chiamata
È alla stretta finale, si spera, il lungo braccio di ferro tra l’Unione europea e il Regno Unito sulle modalità di uscita di Londra dall’Unione.
“Va fatto tutto il possibile per chiudere un accordo commerciale con il Regno Unito- ha dichiarato il presidente di Confagricoltura, Massimiliano Giansanti-. Il ‘no deal’ avrebbe un impatto pesantissimo sulle nostre esportazioni e sulla stabilità dei mercati agricoli a livello europeo. Dal 1° gennaio infatti il Regno Unito uscirà dal mercato unico e dall’unione doganale. Senza un accordo, scatterebbero le regole dell’Organizzazione mondiale del commercio, con il ripristino dei dazi sugli scambi e dei controlli alle frontiere”.
Dal momento che le esportazioni agroalimentari della UE sul mercato britannico superano i 40 miliardi è prevedibile una condizione di forte instabilità estesa a tutti i mercati agricoli.
Per quanto riguarda l’Italia, il rischio per l’agroalimentare ammonta a 3,4 miliardi di euro l’anno, con la vendita di frutta e ortaggi freschi (principalmente mele, kiwi e uva da tavola) che genera un assegno di oltre 230 milioni di euro, a cui si aggiungono più di 400 milioni di esportazioni di prodotti trasformati.
In generale, particolarmente esposti a una hard Brexit sono i prodotti freschi, ad esempio gli ortofrutticoli, come sottolinea Fepex, l’Associazione spagnola che riunisce le imprese del commercio ortofrutticolo, annunciando anche un aggravio di burocrazia e un aumento di costi accessori. Spese e adempimenti che si concretizzerebbero in documenti di accompagnamento delle merci e in certificati fitosanitari, quando richiesti. Per non parlare delle difficoltà di tipo logistico, con interruzioni e ritardi nei principali punti di attraversamento e nei porti di sbarco e imbarco delle merci, dove si temono lunghe file di camion.
Secondo Coldiretti, senza accordo la Gran Bretagna rischia anche di diventare il porto franco del falso made in Italy in Europa. Sarebbe questa la conseguenza della mancata tutela giuridica dei marchi dei prodotti italiani a indicazioni geografica e di qualità (dop e igp) che rappresentano circa il 30% sul totale dell’export agroalimentare tricolore Oltremanica.