Avicoltura, 21,7 miliardi di ricchezza «diffusa» nel 2018
Un consumo pro capite di oltre 20 chili l’anno, considerando l’intera gamma delle carni avicole. L’unico comparto in Italia, tra quelli zootecnici, con un grado di auto approvvigionamento di oltre il 100%, che affranca (potenzialmente) il nostro Paese dalle importazioni.
Negli allevamenti italiani si produce più di quanto si consuma, e questo vale sia per le carni di pollo sia (tanto più) per quelle di tacchino.
Un settore in salute, quello avicolo, con un fatturato alla produzione che l’anno scorso si è spinto fino a 5,7 miliardi di euro.
A rivelarlo è lo studio della società di ricerche Althesys «La filiera avicola crea valore per l’Italia» presentato a Roma in occasione dell’assemblea di Unaitalia, l’Unione di rappresentanza del settore.
Significativo l’effetto moltiplicatore – spiega l’analisi – con un giro d’affari che, considerando tutte le altre fasi della filiera, a monte (incubatoi, agricoltura, mangimistica) e a valle (servizi, logistica, distribuzione e vendita), arriva a 21,7 miliardi di euro.
Una dimensione economica “diffusa” raggiunta grazie anche a un massiccio programma di investimenti che in questi ultimi anni hanno migliorato la qualità dei prodotti e rafforzato la competitività delle imprese italiane.
In meno di due lustri – osservano ancora gli analisti – il settore ha fatto passi da gigante sui temi del benessere animale, della sicurezza e della riduzione degli antibiotici (-80%). Anche se l’export fatica a tenere il passo e dal 2017 perde in media il 3,9% l’anno in valore.
L’accesso ai nuovi mercati, anche in previsione di una crescita dei consumi Ue da qui al 2030 di appena lo 0,3% in media d’anno, contro il 2,2% del 2018, rappresenta l’unica leva per invertire questa tendenza.
Sul mercato interno il quadro si conferma invece più che soddisfacente. Con il 35% degli acquisti domestici di carni fresche, quelle avicole sono le più consumate dalle famiglie italiane, grazie a una crescita costante sia nei volumi che nella spesa (+0,6% e +3,6% nel 2018).
Positivi i risvolti occupazionali, con circa 83.000 addetti a livello di filiera. Rilevante anche in questo caso l’effetto leva, con un dipendente della trasformazione che crea altri 2,5 posti di lavoro lungo le altre fasi, considerando anche l’indotto.