4 Novembre
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Suini, il crollo dei prezzi riduce le consistenze mondiali

È allarme redditività negli allevamenti per il caro mangimi e il forte aumento della bolletta energetica. Meno 2% la produzione nel 2022.

 

I prezzi globali dei suini hanno subìto in questi ultimi mesi una drastica riduzione, pressati da un forte aumento della produzione rispetto a una domanda solo in graduale espansione.

 

Lo rileva la banca d’affari olandese Rabobank in un’analisi dedicata a un comparto che mostra evidenti segnali di sofferenza soprattutto sul piano della tenuta dei redditi.

 

È prevedibile che il brusco calo dei prezzi, in una fase peraltro di forte aumento dei costi di produzione, per i rincari soprattutto di mangimi e prodotti energetici, avrà un impatto negativo sulle consistenze mondiali di capi suini, che in prospettiva, già a partire dall’anno prossimo, subiranno un graduale ridimensionamento.

 

Le condizioni di minore affollamento nelle stalle contribuiranno se non altro a migliorare lo stato di salute degli animali, riducendo soprattutto i rischi di contagio di peste suina africana (Psa), di cui si registrano casi anche in Europa.

 

In analogia con il bestiame vivo, spiega ancora l’analisi, anche i prezzi delle carni suine, già penalizzati in questa fase dai consueti andamenti stagionali dei consumi, hanno assunto un andamento al ribasso, in un contesto di restrizioni anti Covid e di sviluppi macroeconomici incerti, a causa soprattutto della ripresa inflazionistica in atto in tutti i maggiori paesi consumatori.

 

Le difficoltà nel reperimento della manodopera e i forti aumenti dei prezzi dei mezzi di produzione avranno un considerevole impatto sui margini degli allevatori, contribuendo ad alimentare il caro-vita e a limitare i consumi finali.

 

Attualmente i prezzi dei suini, nei 27 Paesi dell’UE, risultano inferiori del 24% alla media degli ultimi cinque anni. Una flessione che gli esperti di Rabobank attribuiscono a una più intensa attività di macellazione e a una domanda infiacchita rispetto ai livelli di inizio anno sia nei mercati interni che in quelli di esportazione. In Germania e nei Paesi Bassi è già in atto una riduzione delle consistenze suine, ma il fenomeno potrebbe rapidamente estendersi ad altre nazioni, Spagna inclusa, in considerazioni delle minori possibilità di esportazione in Cina, dove la ricostituzione delle mandrie, dopo la grave ondata di epidemia di peste suina africana, ha rimesso in moto la produzione locale.

 

Al riguardo, va comunque osservato che le condizioni operative più sfavorevoli in Cina, dove l’aumento dell’offerta interna ha drasticamente ridotto i listini, comporteranno la fuoriuscita di diversi operatori e una contestuale flessione della produzione nel 2022. Un fenomeno che, nella seconda metà dell’anno, dovrebbe rimettere in moto le esportazioni europee e di altri competitor, Brasile in primis, in previsione di importazioni del Dragone per quasi 4,8 milioni di tonnellate, in aumento del 6% su base annua, ma inferiori al record del 2020 (5,3 milioni).

 

Quanti agli Usa, le proiezioni restano orientate a una crescita sul fronte delle esportazioni. Al contrario, la domanda interna è prevista in graduale attenuazione, via via che i costi più elevati di produzione si trasferiranno sui prezzi al consumo.

 

Migliore il sentiment tra gli allevatori brasiliani, nonostante l’aumento del 34% dei costi dei mangimi. A tenere alto l’umore è la debolezza del real brasiliano, che agisce sul piano competitivo da forte stimolo per l’export. Rabobank prevede nel paese Carioca, terzo maggiore esportatore mondiale dietro l’UE e gli Stati Uniti, un aumento della produzione di carni suine del 5,5% nel bilancio di quest’anno, pronosticando un’ulteriore crescita nel 2022.

 

Globalmente, stima l’Usda, il Dipartimento americano dell’agricoltura, la produzione di carni suine dovrebbe ridursi, l’anno prossimo, del 2%, scendendo a 104,2 milioni di tonnellate, per effetto principalmente di un meno 5% atteso in Cina.

 

Sul fronte dei consumi, l’Usda stima una contrazione dell’1,8% a 103,3 milioni di tonnellate, in previsione di riduzioni in Usa, Cina e nell’Unione europea, a fronte di aumenti attesi invece in Russia, Brasile, Vietnam e Giappone. Al contrario l’interscambio globale dovrebbe crescere del 2% nel 2022 toccando il record di 12,8 milioni di tonnellate. La ripresa delle importazioni porterà, come detto, la firma del Dragone, mentre Giappone e Messico, altri due grandi importatori, seppure con volumi largamente inferiori a quelli cinesi, manterranno grosso modo i livelli del 2021.

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