Spumanti piemontesi alla riscossa
Produzioni di alta qualità. La denominazione Asti punta nell’arco dei prossimi 10 anni ad arrivare a un consumo di 95 milioni di bottiglie. Rinnovato interesse dei viticoltori per il Brachetto d’Acqui, ma anche per l’Erbaluce di Caluso e lo spumante brut Alta Langa
Non solo Asti, ma anche Alta Langa, Brachetto d’Acqui, Erbaluce di Caluso e altre limitate produzioni di bollicine ottenute da Pinot, Chardonnay, Nebbiolo, Cortese. Il Piemonte, terra di grandi vini rossi, nel corso degli anni ha puntato in modo deciso sugli spumanti, ottenendo produzioni di alta qualità che hanno contribuito a diversificare l’offerta regionale, valorizzando aree di produzione, com’è il caso dell’Alta Langa, di grande valore paesaggistico ma che, per la scarsa redditività dei territori, correvano il rischio di abbandono.
Asti è la denominazione più diffusa: oggi si producono circa 85 milioni di bottiglie, di cui 55 milioni di Asti docg (delle quali 1 milione della tipologia «non dolce») e 30 milioni di Moscato d’Asti docg tappo raso.
«C’è un grande fermento sulla tipologia dolce, in prevalenza metodo Martinotti, ma anche con limitate produzione di metodo classico – spiega Stefano Ricagno, vicepresidente del Consorzio dell’Asti e direttore di Cuvage Mondo del Vino -mentre ci sono altre interessanti sperimentazioni di produzione di Asti a bassa gradazione alcolica».
L’Asti è un prodotto internazionale che si vende in tutto il mondo: prevalentemente nel Nord Europa, Regno Unito, Russia e Stati Uniti, ma che sta crescendo anche in Messico, Sudamerica e, per quanto riguarda il Moscato d’Asti, nei Paesi asiatici. Per la produzione della docg Asti si coltivano 9.600 ettari di vigneto Moscato in 52 comuni delle province di Asti, Alessandria e Cuneo, a cura di 4.500 famiglie di viticoltori: sono circa 35 le aziende spumantiere e 60 quelle vitivinicole che imbottigliano.
Il mercato interno, ormai da anni, è in declino. Oggi in Italia si consumano circa 6 milioni di bottiglie di Asti e 1,5 milioni di Moscato d’Asti. «Per questo è necessario lavorare di più nella promozione sul territorio d’origine, perché i tanti turisti che arrivano in Italia devono vedere e apprezzare il prodotto per poi poterlo richiedere quando saranno nuovamente nel loro Paese» sostiene Ricagno. «Vogliamo sviluppare un progetto che, nell’arco di 10 anni, ci porti a mantenere un sostanziale equilibrio tra produzione e mercato, per un consumo di circa 95 milioni di bottiglie. Stiamo lavorando su una serie di modifiche del disciplinare di produzione – aggiunge Ricagno – per dar modo alla denominazione di sviluppare al meglio tutte le sue potenzialità».
Nel territorio a cavallo tra Asti e Alessandria c’è una denominazione che, dopo anni di difficoltà, oggi cerca un nuovo spazio. Il Brachetto d’Acqui, coltivato su circa 1.000 ettari in una trentina di comuni, è passato nell’ultimo anno, da 27.000 a 21.000 ettolitri di produzione, con una resa media di 45 quintali per ettaro. Adesso i produttori puntano a un rilancio della denominazione e hanno deciso di investire mezzo milione di euro sulle reti Mediaset e Sky per sviluppare una campagna pubblicitaria che parta dalle feste di Natale e arrivi fino a Pasqua, con uno spot girato sulle colline vitate che ricorda l’atmosfera della Dolce Vita. Il progetto è stato presentato all’inizio di novembre al Cinema Ariston di Acqui Terme di fronte a una platea gremita di produttori del territorio.
I viticoltori puntano anche sulla tipologia Acqui docg fermo, rosso o rosé. «Se si lavorerà bene, partendo dai fondamentali, puntando sull’identità delle nostre colline, sull’enoturismo e sulla cura dell’ambiente – dice Ricagno, che con la famiglia è fortemente impegnato anche nel Brachetto (il padre Paolo è presidente del Consorzio di tutela) sono convinto che potrà esserci un futuro di grandi soddisfazioni per il territorio».
Cresce l’interesse anche per le bollicine dell’Erbaluce di Caluso docg, una piccola produzione metodo classico di circa 80.000 bottiglie all’anno in Canavese «con un territorio che sta lavorando con grande impegno e una buona propensione all’export», come sottolinea Gianluigi Orsolani, uno dei produttori storici presidente dell’Enoteca regionale dei vini di Torino.
L’Alta Langa docg, lo spumante brut nato da un progetto sviluppato nella seconda metà degli anni Novanta nelle province di Alessandria, Asti e Cuneo, è oggi una realtà di tutto rilevo. La produzione di quest’anno si è assestata sui 2 milioni di bottiglie. Il Consorzio di tutela presieduto da Giulio Bava (Cocchi spumanti e Bava) ha definito una crescita programmata della denominazione: partendo dal 150 ettari iniziali si sono previsti 200 ettari di nuovi impianti che fra tre anni porteranno il vigneto complessivo a 350 ettari per un volume di 3 milioni di bottiglie, esclusivamente millesimate, come prevede il disciplinare.
Il tempo di affinamento minimo dell’Alta Langa è circa il doppio degli altri spumanti, perché disciplinare prevede minimo 30 mesi di affinamento. Da quando si impianta un vigneto, calcolando quattro anni per raggiungere la piena produzione di uva e tre anni per lo spumante, passano almeno sette anni: saper programmare diventa perciò indispensabile. «Il mercato – spiega Bava – è ancora prevalentemente italiano, perché ci sono ampi margini di crescita, anche se ci sono aziende che, al traino delle loro produzioni di punta, hanno iniziato a sondare i mercati esteri, con grande soddisfazione».