23 Gennaio
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Pere, una carrellata di dati anomali

Annata 2019 da dimenticare. Crollano stock e produzione, mentre i prezzi rimbalzano del 50%. In campagna serpeggia la delusione e gli investimenti rischiano di subire un’altra pesante battuta d’arresto.

 

Da qualsiasi prospettiva lo si analizzi il mercato nazionale delle pere restituisce quest’anno numeri fuori dall’ordinario. Innanzitutto i prezzi. Prendiamo gli ultimi disponibili, quelli dalla sessione del 16 gennaio rilevati alla Borsa merci di Bologna. Le Abate con calibro over 65 scambiano a 1,52 euro/kg, ma l’anno scorso in pari data le stesse pezzature passavano di mano a poco meno di 1 euro. A 2,12 euro/kg il prezzo dell’Abate calibro 80-85, quotazione che a gennaio 2019 non andava però oltre 1,55, sempre basandosi sul listino del capoluogo emiliano.

 

I rincari, insomma, sono dell’ordine del 45-50% a distanza di un anno, ma in diverse piazze e per altre varietà appaiono anche più rilevanti.

 

Passando agli stock, i numeri appaiono ancora meno ordinari. L’ultima fotografia sul livello delle scorte in Italia l’ha fornita il Wapa, il World apple and pear association, certificando il 58% in meno di pere in giacenza alla data del primo dicembre 2019. Anche in questo caso emergono situazioni differenziate, con riduzioni particolarmente evidenti (tra il 63 e il 65%) per le Abate Fetel, le Conference e le Kaiser. A livello europeo il calo delle giacenze risulta invece più contenuto, con stock alleggeriti mediamente del 25%. E osservando i dati nello spaccato territoriale emergono situazioni decisamente migliori, rispetto a quella italiana, per tutti i principali competitor, con l’Olanda che registra perdite di magazzino inferiori al 9%, il Belgio sotto di circa il 20% rispetto ai livelli di un anno fa e la Spagna ancora ben approvvigionata, con scorte addirittura superiori di oltre il 10%.

 

La carrellata dei numeri «non comuni» si chiude con i dati particolarmente negativi di produzione, di cui le scorte sono il riflesso diretto. Partiamo questa volta dal dato europeo, che a consuntivo di campagna 2019-2020 non dovrebbe spingersi oltre 1,9 milioni di tonnellate, documentando una perdita del 20%. Anche per i raccolti l’Italia, primo player continentale, parte da posizione decisamente più svantaggiata, con una produzione di appena 363.000 tonnellate, stima Cso Italy (Centro servizi ortofrutticoli), dimezzata sia su base annua che rispetto al potenziale, valutato attorno alle 730.000 tonnellate.

 

Sulla coltivazione hanno avuto effetti devastanti l’andamento climatico, che ha determinato una scarsa fioritura e che ha causato frequenti fenomeni di cascola, e gli attacchi di cimice asiatica che hanno colpito soprattutto le regioni settentrionali, causando perdite qualitative e casi di mancata raccolta dei frutti, non idonei neanche alle lavorazioni industriali.

 

È evidente che la dismissione degli impianti (si teme l’abbandono di un altro 5-10% di superficie, nonostante l’annuncio di aiuti al settore) sarebbe motivata da situazioni di grave difficoltà economica delle aziende – spiegano gli esperti – che nonostante i prezzi più alti (di cui solitamente si avvantaggiano però buyer e grossisti), non riusciranno a controbilanciare le perdite di fatturato determinate dalla mancata produzione, fenomeno che è apparso più evidente nel distretto emiliano-romagnolo.

 

Senza disponibilità sufficienti a «governare» il mercato, l’Italia sta subendo quest’anno il pressing competitivo di altri paesi produttori, che all’estero (sul mercato tedesco in particolare) stanno riuscendo, al contrario, a conquistare preziosi punti di share.

 

Con la poca merce a disposizione le vendite all’estero resteranno a parecchia distanza delle 150-160.000 tonnellate abitualmente esportate dall’Italia.

 

I dati, quelli del 2019, sono già incontrovertibili: in dieci mesi, da gennaio a ottobre, l’export ha accusato una contrazione del 30% sullo stesso periodo del 2018. Ma se si guarda al bimestre settembre-ottobre le spedizioni si sono quasi dimezzate.

 

Da rilevare che normalmente l’Italia, con le vendite all’estero di pere fresche, realizza un giro d’affari attorno ai 170 milioni di euro. Nel bilancio finale del 2019 non si andrà presumibilmente oltre i 130-135 milioni, con un probabile taglio del fatturato attorno al 20%.

Cattolica Assicurazioni S.p.A.

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