23 Aprile

Olio d’oliva, torna a correre la produzione in Italia

Secondo i dati di Ismea, riviste al rialzo le stime sulla campagna 2019-2020 a 365.000 tonnellate, un volume più che raddoppiato su base annua. Maxi recupero in Puglia dopo la gelata del 2018.

 

Una stagione migliore rispetto alle valutazioni iniziali per gli oli di oliva italiani. Con una produzione che, sulla base delle dichiarazioni dei frantoi, a operazioni di frangitura ormai concluse, si è spinta a ridosso delle 365.000 tonnellate.

 

A fornire il bilancio d’annata è l’Ismea che ha alzato nei giorni scorsi l’asticelle delle stime elaborate in autunno indicando, a consuntivo, un risultato di oltre due volte più elevato rispetto a quello della scorsa campagna.

 

Va tuttavia ricordato che il 2018/19 si era chiuso con un pessimo bilancio produttivo per l’Italia (meno di 175.000 tonnellate), dopo i gravi danni da gelo che avevano quasi azzerato la produzione nel nord della Puglia.

 

Se inquadrata nella serie storica l’annata può ritenersi soddisfacente, ma non abbondante, spiegano gli analisti, considerando che la produzione aveva superato la soglia delle 400.000 tonnellate sia nel 2015 che nel 2017.

 

I risultati produttivi hanno diviso in due la Penisola, rileva l’Ismea: al Nord si sono verificate riduzioni particolarmente significative, con casi limite di produzioni quasi azzerate in Veneto e Lombardia. A due velocità le regioni del Centro Italia, dove frenano Umbria e Toscana, ma risalgono la china Lazio, Marche e Abruzzo, mentre al Sud la tendenza alla crescita è stata univoca.

 

Quasi triplicati i volumi pugliesi, passati da 73.000 a 209.000 tonnellate. La Calabria ha moltiplicato per quattro i livelli produttivi del 2018/19, spingendosi anche sopra la media degli ultimi quattro anni. Recuperano il terreno perso nella precedente stagione Sicilia, Campania e Sardegna, ma con volumi che in tutti i casi restano distanti dai potenziali.

 

Da rilevare che nel contesto mondiale l’Italia si è mossa in netta controtendenza. Globalmente, la produzione di oli di oliva si è attesta infatti attorno ai 3 milioni di tonnellate, basandosi sulle valutazioni del Consiglio oleicolo internazionale, facendo segnare una contrazione del 5% rispetto ai 3,2 milioni della campagna 2018/19.

 

Sull’oliveto Europa, che da solo esprime due terzi dell’output globale, ha pesato il segno meno della Spagna, in dodici mesi di scarica produttiva seguita al balzo record della scorsa annata.

 

Basandosi sugli ultimi conteggi ufficiali, Madrid non è andata oltre 1,16 milioni di tonnellate, perdendo il 35% in un anno. In crescita al contrario la Grecia, seppure a un tasso inferiore alle stime iniziali, mentre fuori dall’Ue, ad eccezione del Marocco, il bilancio è complessivamente positivo, grazie soprattutto ai progressi della Turchia, cresciuta del 36%, e della Tunisia che ha inanellato un aumento del 150%.

 

Deludente, rileva ancora l’analisi Ismea, l’andamento dei prezzi internazionali, con le minori disponibilità a livello mondiale che non hanno impresso l’auspicata spinta al rialzo ai listini. Un risultato associato alle abbondanti scorte di inizio campagna, soprattutto spagnole, che hanno più che compensato la mancata produzione, generando ancora squilibri dal lato dell’offerta.

 

Tornando all’Italia, sul fronte delle esportazioni, cresciute di un modesto 1,2% a volume (339.000 tonnellate), ma scese dell’8,2% in valore, a 1,37 miliardi di euro (il confronto è con il 2018), si segnala un lieve miglioramento in Usa, a fronte di un pesante dietro front sul mercato canadese.

 

Nell’Ue il bilancio delle vendite è positivo sia in Germana che in Francia. Ancora più sostenuta la crescita delle esportazioni in Regno Unito, dove l’esigenza di consolidare le scorte in vista di Brexit ha impresso una forte spinta agli acquisti dall’estero, favorendo anche il prodotto italiano.

 

Per quanto attiene alle importazioni, gli ultimi dodici mesi hanno segnato, in base ai dati dell’Istat, il superamento della soglia delle 600.000 tonnellate (+9,5% sul 2018), sia pure a fronte di una spesa scesa a 1,4 miliardi di euro (-13%), alleggerita dalla riduzione dei prezzi internazionali.

 

A spingere alle frontiere sono stati principalmente gli oli spagnoli, con Madrid che ha coperto quasi tre quarti delle importazioni italiane. In flessione, al contrario, le spedizioni sia di oli greci che tunisini, a fronte di maggiori arrivi da Marocco e Turchia.

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