Mele, bilancio positivo in Italia nonostante grandine e gelo
Pochi i danni causati dalla cimice asiatica. Si guarda con fiducia al mercato. Il raccolto non sarà eccedentario e, soprattutto, non si avrà un impatto deflattivo sui prezzi alla produzione.
Non è stata quest’anno una campagna esente da danni per le mele italiane, di cui il maggiore produttore si conferma il Trentino Alto Adige. Grandine e gelo (ma anche venti forti), che hanno colpito soprattutto alcuni areali del Nord Italia, sono stati eventi piuttosto diffusi, ma generalmente di modesta entità. Non tali, se non altro, da impensierire gli operatori o di compromettere la qualità di un raccolto stimato in poco meno di 2,2 milioni di tonnellate, in base ai dati illustrati quest’estate a Prognosfruit, leggermente inferiore a quello della scorsa campagna, ma in linea con la media 2014-2018, se si esclude dai conteggi il 2017, eccezione nella serie storica per la straordinaria gravità delle perdite da gelo.
La raccolta si è già conclusa in Trentino per le mele Gala ed è ormai prossima all’avvio per le Golden delicious. Seguiranno le Red e le Fuji, in linea con un calendario che presenta quest’anno solo un lieve ritardo rispetto alla norma.
L’umore è positivo. Il raccolto non sarà eccedentario e, soprattutto, non si avrà un impatto deflattivo sui prezzi alla produzione. È prevedibile anzi che, dopo il pessimo bilancio della scorsa campagna, rivelatasi tra le più complesse degli ultimi anni in un contesto di forte squilibrio tra domanda e offerta per un eccesso di produzione (record assoluto in Polonia e massimo di sempre in Trentino), i mercati assumano un andamento migliore, riservando qualche opportunità di ripresa sul versante dei prezzi.
Si guarda con fiducia alla Polonia, primo produttore europeo, che quest’anno non avrà la stessa “carica esplosiva” della scorsa campagna. Il dimezzamento, o quasi, della produzione pronosticato per il primo player europeo ridurrà di netto le pressioni concorrenziali. Ma il timore è che il calo produttivo sia oggi sovrastimato. Non è escluso – a giudizio degli operatori – un bilancio a consuntivo meno pesante di quanto annunciato da Varsavia. Anche se resta l’evidenza, segnalata da Assomela, di un raccolto in Europa pesantemente influenzato dalle gravi gelate (come accaduto due anni fa) non solo a spese della Polonia, dove si prevedono 2,7 milioni di tonnellate (-44%), ma anche di altri paesi dell’Est, con perdite consistenti in Ungheria, Romania e Croazia.
Un altro aspetto da considerare, potenzialmente a vantaggio delle mele italiane, è il brusco dietro front dei raccolti in Austria e Germania, tradizionali mercati di sbocco per l’export tricolore, dove si prevedono riduzioni rispettivamente del 22 e del 17% su base annua.
Sul piano fitosanitario, a differenza delle pere, gli attacchi da cimice asiatica non avrebbero determinato danni significativi se non in casi sporadici e in territori circoscritti. La qualità sarebbe dunque più che soddisfacente, suggellando le previsioni di una ripartenza dei prezzi grazie anche a un ormai prossimo smaltimento delle scorte di vecchia produzione.
L’evoluzione del quadro varietale conferma la tendenza alla dismissione degli impianti di Golden delicious, che resta la varietà più diffusa sia in Italia che nel resto d’Europa. Al contrario crescono gli investimenti nelle Fuji e nelle “nuove cultivar”, che quest’anno avrebbero registrato in Italia un avanzamento del 10% rispetto alla passata stagione.
Uno sguardo infine alle esportazioni, che i dati Istat, relativi al primo semestre 2019, segnalano in forte crescita nei volumi (+43%), ma non nei corrispettivi valutari (+2% appena rispetto allo stesso periodo dell’anno scorso).
Basandosi sui valori medi unitari, le mele italiane hanno subìto quest’anno un deprezzamento, oltre confine, di quasi il 30%, passando da 1,15 euro per chilo (prezzo Fob) a 82 centesimi.
In Germania, primo mercato di riferimento, il fatturato è sceso del 38%, mentre è aumentato del 44% in Spagna, secondo sbocco commerciale. Il dato più interessante è tuttavia l’impennata dell’export in India, che per fatturato ha superato anche il mercato britannico, con vendite nel semestre per oltre 36 milioni di euro, contro poco più di 2 milioni registrati nei primi sei mesi del 2018.