7 Novembre

Mais, Italia sempre più dipendente dall’estero

Prezzi bassi e alti costi di produzione. Il forte calo delle superfici (meno 40% in dieci anni) e il peso crescente delle importazioni spiegano, nel settore, anche la dinamica negativa del mercato assicurativo, con valori dimezzati in 5 anni e con il 40% in meno di aziende con polizze.

 

Il punto più basso è stato raggiunto l’anno scorso con 614.000 ettari destinati in Italia alla coltivazione del mais. Un minimo toccato a corollario di un lungo trend negativo, con la coltura che ha perso in poco più di un decennio quasi il 40% delle superfici, vale a dire oltre 377.000 ettari, un’area più vasta dell’intero territorio della Val d’Aosta.

 

Quest’anno si è registrato un primo cambio di rotta, con una miniripresa degli investimenti che non è bastata tuttavia a compensare il calo di resa associato a un andamento climatico sfavorevole.

 

Le stime recentemente elaborate dal Coceral, l’organismo europeo di rappresentanza del trade nel settore dei seminativi, hanno fissato a 630.000 ettari il dato di semina in Italia del 2019. Ma i 16.000 ettari in più, rispetto alla scorsa stagione, non sono bastati, come accennato, a cambiare la direzione di marcia del raccolto che ha perso un altro 2%, scendendo attorno ai 6 milioni di tonnellate.

 

Si consideri che in poco più di due lustri, in termini produttivi, sono andati in fumo quasi 4 milioni di tonnellate (nel 2008 si era sfiorata la soglia dei 10 milioni di tonnellate). E che nello stesso arco temporale le importazioni sono più che raddoppiate, aumentando di oltre 3 milioni di tonnellate, con il corrispettivo valutario lievitato a un miliardo di euro.

 

Vale la pena ricordare, prima di analizzare le dinamiche delle importazioni italiane di mais, che in poco meno di 5 anni i prezzi del mais sui mercati internazionali hanno accusato riduzioni a due cifre. Un fenomeno di per sé sufficiente a spiegare l’emorragia di ettari registrata in Italia che ha reso il Paese dipendente dall’estero per metà del suo fabbisogno, contro una situazione di quasi totale autosufficienza di inizio millennio. Vediamo i numeri che stanno dietro a queste tendenze.

 

Analizzando le serie storiche dell’Istat si può osservare che da volumi attorno ai 2 milioni di tonnellate de 2008 le importazioni italiane di mais sono balzate a 5,7 milioni (dato 2018), aumentando di quasi due volte e mezzo.

 

L’esborso, oggi di 1.018 milioni di euro, ammontava nel 2008 a poco più di 500 milioni. Lo stesso confronto evidenzia il forte deprezzamento del mais sui mercati internazionali, con il prezzo Cif, comprensivo dei costi di assicurazione e trasporto, che da 220 euro circa per tonnellata è sceso a 177 euro di media.

 

Tra le ragioni che spiegano il progressivo abbandono della coltivazione del mais in Italia ci sono anche gli effetti dei cambiamenti climatici e gli alti costi di produzione che hanno dirottato gli investimenti verso altre colture, ad iniziare dalla soia. Altro aspetto da considerare è la carenza e l’obsolescenza delle strutture di stoccaggio sul territorio nazionale, non sempre adeguate a preservare nel tempo la qualità dei prodotti italiani in giacenza.

 

Tornando alle importazioni, i dati più recenti confermano il trend in ascesa, con il bilancio dei primi sette mesi di quest’anno che certifica, rispetto allo stesso periodo del 2018, un aumento del 9,5% dei volumi importati (oltre 3,6 milioni di tonnellate a tutto il mese di luglio) e del 10% in valore (poco meno di 655 milioni di euro).

 

Quasi un terzo delle importazioni è di provenienza ucraina, ma un ruolo di rilievo lo rivestono anche l’Ungheria, con un altro 24% di quota, e la Slovenia con poco più del 10%. Seguono Croazia, Austria e Romania, mentre il primo fornitore non europeo è il Brasile seguito dal Sud Africa, ma con volumi che sommati non arrivano al 3% di quota delle importazioni nazionali.

 

Il forte calo degli investimenti e il progressivo aumento della dipendenza dall’estero del settore maidicolo nazionale spiegano anche la dinamica negativa registrata sul mercato assicurativo. In base all’ultimo rapporto dell’Ismea sulla gestione del rischio in agricoltura in cinque anni il numero delle aziende assicurate, per quanto concerne il mais da granella, si è ridotto di circa il 40%, passando da 12.750 del 2014 a poco più di 7.800 del 2018. Nello stesso periodo i valori assicurati sono più che dimezzati, nonostante il leggero recupero degli ultimi dodici mesi, scendendo l’anno scorso attorno ai 300 milioni di euro.

 

Cattolica Assicurazioni S.p.A.

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