15 Ottobre

Made in Italy in affanno sui mercati internazionali

Secondo l’analisi di Prometeia, le esportazioni italiane nel primo semestre 2020 perdono il 15%. Ma l’agroalimentare è in controtendenza (+3,5%), con le vendite all’estero che hanno rotto la soglia dei 22 miliardi di euro. I mercati più promettenti sono Germania e Svizzera, ma a spingere sarà anche il Far East.

 

L’emergenza coronavirus cambia le traiettorie del commercio mondiale. E anche l’export nazionale dovrà considerare i nuovi profili di sviluppo, in un contesto in cui il tono del commercio internazionale resta inevitabilmente improntato alla debolezza.

 

A rilevarlo sono gli analisti del centro studi economici Prometeia, segnalando, in un intervento sul quotidiano economico Il Sole 24 Ore, che mai come in questa fase, peraltro di recrudescenza dell’emergenza sanitaria, le rotte delle esportazioni saranno influenzate dall’andamento della pandemia.

 

I numeri, quelli del primo semestre 2020, comunicati dall’Istat, restituiscono nel complesso un bilancio fortemente negativo per l’export tricolore (poco più di 200 miliardi di euro), con una caduta del 15,3% rispetto ai primi sei mesi del 2019.

 

Si distingue, in termini positivi, l’agroalimentare che, in netta controtendenza rispetto alla dinamica generale, ha potuto sperimentare una crescita del 3,5%, realizzando oltre confine un fatturato, tra gennaio e giugno di quest’anno, di oltre 22 miliardi di euro.

 

Gli operatori restano necessariamente sintonizzati su un inasprimento della crisi economica globale. Ma un occhio di riguardo – osservano gli esperti di Prometeia – dovranno riservarlo a cinque mercati, quelli ad oggi più promettenti, che hanno saputo fronteggiare la pandemia prima o meglio degli altri, normalizzando i servizi della logistica e ripristinando tutti canali di vendita.

 

Nel club dei Top-5 figurano in testa due rotte europee, rappresentate da Germania e Svizzera, mercati entrambi di grande rilievo per l’export agroalimentare italiano, affiancate da tre mete del Far East, costituite da Cina, Corea del Sud e Singapore. Si tratta, in questo caso, di latitudini meno presidiate dal made in Italy, che nel 2019, sempre con riferimento ai prodotti agroalimentari, hanno cumulato importazioni dall’Italia per poco più di 860 milioni di euro, corrispondenti ad appena l’1,9% dell’intero ammontare delle vendite all’estero del settore.

 

L’accoppiata Germania-Svizzera, al contrario, muove un fatturato nel food & beverage di 8,8 miliardi, pari a un quinto circa dei 44,5 miliardi di esportazioni registrate complessivamente nel 2019.

 

Nei programmi autunnali, la vicina Germania resta dunque la meta preferenziale, considerando tra l’altro che in territorio teutonico la flessione del Pil per il 2020, con un calo del 6% stimato dagli analisti, è la meno severa tra le economie dell’Eurozona. L’obiettivo non dovrebbe cambiare neanche nel medio termine, alla luce delle ultime stime di Prometeia, che in Germania preannunciano un aumento delle importazioni complessive del 15% nel biennio 2021-2022.

 

Anche in Svizzera, nei prossimi due anni, è prevista un’accelerazione dell’attuale dinamica delle importazioni, con un più 8%. Al contrario, le previsioni sono meno favorevoli in Francia, secondo sbocco, dopo la Germania, per le esportazioni agroalimentari italiane, con circa 5 miliardi di fatturato nel 2019, mentre appaiono decisamente più promettenti le rotte dell’Est europeo, con buone prospettive soprattutto in Polonia, Repubblica Ceca, Ungheria e Romania.

 

C’è un caveat nel messaggio di Prometeia, che suggerisce comunque cautela nel presidiare un contesto in continua evoluzione. A tale riguardo, l’atteggiamento tattico delle imprese dovrà considerare possibili, quanto imprevedibili, mutamenti di scenario, richiedendo una certa prontezza nell’approntare eventuali correzioni ai programmi di esportazione.

 

In relazione ai diversi settori, nel 2021-2022 la domanda del made in Italy sarà elevata soprattutto per i prodotti dell’agroalimentare e dei mezzi di trasporto, con una prospettiva di crescita, per entrambi, del 14%.

 

Tornando alle dinamiche di quest’anno, un elemento di novità, determinato dall’eccezionalità della situazione attuale, è il capovolgimento di fronte del saldo della bilancia commerciale dell’agroalimentare che, da un passivo di 1,2 miliardi di euro del gennaio-giugno 2019, ha girato in attivo per 710 milioni. Determinante, al riguardo, oltre alla crescita dell’export, la forte battuta d’arresto della spesa per le importazioni, scesa a 21,4 miliardi, con una flessione di oltre il 5% su base annua.

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