26 Gennaio
approfondimenti

L’export agroalimentare italiano tra Brexit, Trump e rigurgiti di protezionismo

Anche nel 2016 cresce l’export agroalimentare italiano

I dati sulle esportazioni agroalimentari rilevati dall’Istat evidenziano per i primi 10 mesi del 2016 un’ulteriore crescita – misurata sullo stesso periodo dell’anno precedente – vicina al 3%. Si tratta dell’ottavo rialzo consecutivo, dopo il calo intercorso nel 2008 a seguito dello scoppio della crisi finanziaria ed economica globale. Con questo ennesimo incremento, il valore dell’export tocca nel 2016 un nuovo record, avvicinandosi ai 38 miliardi di euro. Un livello sicuramente importante, ma ancora lontano dai 50 miliardi di euro ipotizzati dal Governo entro il 2020.

 

Brexit, Trump e i rigurgiti di protezionismo ostacolano il target dei 50 miliardi entro il 2020

Non vi è dubbio che i recenti accadimenti a livello geopolitico non siano di aiuto al raggiungimento dei 50 miliardi di euro di export. Se da un lato il negoziato per la Brexit produce l’effetto di mantenere debole il valore della sterlina (riducendo quindi il potere di acquisto dei britannici per i prodotti di importazione), dall’altro lato le dichiarazioni del neopresidente americano Donald Trump, in tema di politiche commerciali statunitensi, rischiano di condurre ad un forte rallentamento del commercio internazionale, a causa di possibili ritorsioni tra Paesi quali risposte ad interventi di protezionismo che gli Stati Uniti potrebbero mettere in campo per tutelare le produzioni nazionali.

 

L’importanza degli accordi di libero scambio regionali

Se da un lato questo scenario contraddistinto da rigurgiti di protezionismo rischia di mettere definitivamente una pietra sopra ai tentativi di ripresa degli accordi multilaterali in seno al WTO, dall’altro pone maggior attenzione alla centralità che possono assumere gli accordi bilateriali/regionali. Dal 2015, l’Unione europea (cui è delegata la politica commerciale dei singoli Paesi membri, Italia compresa!) ha avviato una nuova strategia in materia di scambi e di investimenti che prevede non solo la conclusione dei negoziati in corso (con Paesi di estrema importanza per l’export agroalimentare), ma soprattutto l’apertura di nuovi in aree ritenute strategiche per il futuro degli scambi europei ed italiani (come l’Asia).

 

Non bisogna infatti dimenticare come oggi, oltre al Mercato Unico, il nostro Paese può contare su 40 accordi di libero scambio in essere (di cui 16 con Paesi del continente europeo come la Svizzera o la Norvegia), mentre altri 7 sono stati finalizzati ma non ancora ratificati dalle istituzioni europee delegate (come il CETA o l’accordo con il Vietnam) e più di 10 sono in fase di negoziato (come quello con il Giappone e quello attualmente “congelato” con gli Usa).

 

Gli impatti sull’export agroalimentare italiano dell’accordo con la Corea del Sud…

A questo proposito è interessante misurare le variazioni intervenute negli scambi commerciali di prodotti agroalimentari italiani con i Paesi partner di accordi per comprendere i possibili benefici al sistema delle nostre imprese. Tra questi vale la pena segnalare l’accordo con la Corea del Sud, entrato in vigore nel 2011, definito come il primo degli accordi “di nuova generazione” in quanto, nelle materie oggetto di intesa commerciale, al di là dell’abbattimento dei dazi, prevede, tra le altre cose, la riduzione delle barriere non tariffarie, quella categoria di ostacoli più rilevante per le micro e PMI che, nel nostro sistema agroalimentare, rappresentano la quasi totalità del tessuto imprenditoriale (su un aggregato di quasi 58mila imprese, quelle “grandi” sono appena 113).
Ebbene, guardando all’export agroalimentare italiano verso questo mercato, si nota un incremento di oltre il 100% del valore tra il 2010 (ultimo anno precedente all’entrata in vigore dell’accordo) e il 2015. Una progressione destinata ad aumentare dato che le esportazioni nei primi 10 mesi del 2016 evidenziano – rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente – un ulteriore aumento del 21%.

 

… e con gli altri Paesi partner

Ma gli stessi effetti positivi nelle nostre esportazioni agroalimentari si riscontrano anche per gli altri mercati oggetto di accordi di libero scambio conclusi anni fa (figura 1): Messico +420% (rispetto al 1999), Cile +680% (2002), Colombia +73% (2012), Perù +57% (2012).

 

Figura 1 – Gli effetti degli accordi di libero scambio sull’export agroalimentare italiano (variazione nei valori 2015 rispetto anno precedente all’entrata in vigore dell’accordo)

trump

Fonte: elaborazioni su dati Istat.

 

È indubbio come i principali beneficiari di questi incrementi siano state le PMI. Contrariamente a quanto erroneamente si pensa, gli accordi di libero scambio agevolano principalmente questa categoria di imprese, dato che le grandi realtà e le multinazionali possono superare gli ostacoli commerciali (in particolare le barriere non tariffarie) delocalizzando le produzioni direttamente nel mercato di esportazione, senza dover necessariamente attendere la conclusione di un “free trade agreement”.

 

(© Osservatorio AGR )

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