12 Novembre
approfondimenti

La filiera delle carni italiane e i nuovi stili di consumo alimentare

di Denis Pantini

Seppur in uno scenario di mercato segnato da cali nei consumi, gli italiani – nel fare la spesa – non sembrano volere rinunciare alla qualità di ciò che mangiano, prestando nel contempo sempre più attenzione alla propria salute, al benessere e alla forma fisica. L’eredità che la crisi ha lasciato non è soltanto una maggior attenzione a quanto si spende per ciò che si compra: è anche una nuova metrica di acquisto che sta riorientando i consumi alimentari degli italiani.

 

Meno carne nel piatto e più cibi “senza”

Tra i principali cambiamenti nella spesa alimentare si riscontra innanzitutto una riduzione degli acquisti di carne, diminuiti negli ultimi quindici anni di oltre il 10% in quantità. Al contrario, pur rappresentando ancora una componente marginale dei consumi, aumentano con percentuali a due cifre gli acquisti di prodotti free from (senza glutine, senza lattosio, ecc.), sintomo indubbiamente di un incremento delle intolleranze alimentari tra i nostri connazionali ma anche di una ricerca di prodotti ritenuti (a torto o a ragione) più salutari. Basti pensare, a tale proposito, all’andamento diametralmente opposto che stanno registrando le vendite di latte e di bevande a base di soia: il primo in calo costante, le seconde in crescita esponenziale.

 

Quanta carne mangiano gli italiani?

Sul banco degli imputati per “cattiva alimentazione” siede da diversi anni la carne, il cui consumo è ritenuto eccessivo tra gli italiani. In realtà, andando a vedere le statistiche, si scopre che l’Italia figura tra gli ultimi consumatori in Europa con circa 79 kg pro-capite (considerati complessivamente tra le diverse tipologie – pollo, bovino, suino – e per diversa categoria di prodotto – fresca, trasformata, ecc. -) contro i quasi 100 della Spagna e i 110 kg della Danimarca. Quindici anni fa il consumo in Italia superava gli 82 kg pro-capite: in questo arco di tempo, la tipologia che ha visto ridursi maggiormente i consumi è stata quella bovina: -23%.

 

Il peso della filiera nell’agroalimentare italiano

La filiera delle carni rappresenta (sia a livello agricolo che nella fase di trasformazione) il principale comparto dell’agroalimentare italiano, generando quasi il 20% del valore della produzione agricola e il 18% del fatturato dell’industria alimentare del nostro Paese. Le carni rappresentano inoltre il terzo comparto (dopo vini e conserve vegetali) per valore dell’export alimentare con un peso superiore al 10%. Gli effetti del minor consumo a livello nazionale hanno prodotto impatti nelle fasi produttive della filiera: basti pensare che nell’ultimo decennio, consistenze (capi allevati) e macellazioni risultano in calo. I capi bovini e suini allevati in Italia denotano infatti una riduzione di circa il 6%, quelli ovicaprini del 9%. Ancora più elevate le diminuzioni nelle macellazioni che per i bovini raggiungono il -30%, negli ovicaprini il -43%.

 

Lo sbocco dei mercati esteri e la pressione concorrenziale

A supporto della sostenibilità della filiera sono intervenuti i consumatori esteri. Nell’ultimo decennio, l’export italiano di carni e derivati è aumentato di oltre il 77%, grazie soprattutto alle vendite nei mercati extracomunitari, il cui peso sul totale è passato dal 14% al 21%. Seppur godendo di un posizionamento di prezzo più elevato (i prodotti trasformati a base di carne italiana presentano un prezzo medio all’export di 7,9 dollari/kg contro i 3,4 degli Stati Uniti e i 4,5 della Germania), nello stesso intervallo di tempo la concorrenza estera si è fatta sempre più agguerrita e pressante: basti pensare che, nel segmento dei derivati della carne, la Polonia – che nel 2006 rappresentava il sedicesimo esportatore mondiale di questi prodotti – è arrivata nel 2015 a posizionarsi al nono posto; la Thailandia è cresciuta dal sesto al secondo posto, gli Stati Uniti dall’ottavo al terzo. Al contrario, pur aumentando l’export di oltre il 60%, l’Italia è scesa nel ranking mondiale dalla quinta alla settima posizione.

 

Le prospettive future

Lo scenario attuale sembra indicare direttrici evolutive abbastanza chiare: se a livello italiano i consumi di carne hanno imboccato una tendenza calante, nel resto del mondo le prospettive sono invece di crescita, in particolare nelle economie emergenti e nei paesi in via di sviluppo dove i consumi di carne sono previsti in aumento – da oggi al 2025 – di circa il 20%. E proprio con questi mercati si dovranno confrontare, volenti o nolenti, i nostri produttori.

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