L’export agroalimentare cresce, ma sono ancora poche le imprese esportatrici
Vola l’export agroalimentare italiano nei primi 5 mesi di quest’anno
Nei primi cinque mesi del 2017, l’export agroalimentare italiano è aumentato del 6,3% rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente, confermando un trend di crescita che ormai dura da oltre dieci anni. Solo nel 2009, infatti, con l’avvio della recessione globale, si è avuta una battuta d’arresto (-6,1% rispetto all’anno precedente). Al di là di questa breve parentesi negativa che ha accomunato i prodotti di tutte le economie mondiali, vale la pena sottolineare che, rispetto ai 17 miliardi di euro di prodotti agroalimentari esportati nel 2000, l’anno scorso le imprese italiane sono riuscite a portare questo valore ad oltre 38 miliardi di euro.
Nei mercati extra UE la crescita è più alta
In questo primo scorcio di 2017, i mercati che registrano una crescita significativa sono principalmente Russia, Cina, Stati Uniti e Giappone, mentre i prodotti con un tasso di export più alto rispetto allo stesso periodo del 2016 riguardano lattiero-caseari e derivati della carne. In generale, l’export nei mercati extra-UE per questo periodo gennaio-maggio 2017 mette a segno un tasso di crescita più che doppio rispetto a quello registrato nei paesi dell’Unione europea.
Pur a fronte di questi aumenti, la propensione all’export è ancora bassa
Sebbene il nostro export agroalimentare vada forte, questa crescita è ancora appannaggio di poche imprese. Su un totale di oltre 56mila aziende, sono appena 8.200 quelle esportatrici, vale a dire il 15% del totale, contro una media dell’intero settore manifatturiero italiano superiore al 22%. La stessa propensione all’export, misurata dal rapporto tra fatturato estero e totale è pari al 23%, quando nel caso della Spagna supera il 28% e per la Germania arriva al 33%. E non si può certo affermare che i prodotti tedeschi vantino una notorietà ed un apprezzamento presso i consumatori di tutto il mondo superiori a quelli italiani! Ma il tessuto imprenditoriale della Germania esprime una configurazione dimensionale assai differente, con un peso delle “medie e grandi imprese” (quelle con più di 50 addetti) vicino al 10%, quando nel nostro Paese non arriva al 2% (l’87% delle aziende italiane di food&beverage occupa infatti meno di 9 addetti).
A dispetto della notorietà del Made In Italy, l’Italia non rientra tra i top exporter agroalimentari
E per quanto il Made in Italy alimentare rappresenti uno dei “brand” più riconosciuti nel mondo, il nostro Paese non figura nella top 5 dei principali esportatori mondiali. Al primo posto svettano gli Stati Uniti con un valore di export agroalimentare superiore ai 127 miliardi di euro. Seguono i Paesi Bassi con 87 miliardi, la Germania con 73, la Cina con 64 e il Brasile con 63. Nel ranking internazionale, l’Italia figura solamente al nono posto.
Piccolo sarà anche bello, ma grande è meglio…
La ridotta dimensione della gran parte delle imprese italiane rappresenta un vincolo alla crescita del nostro export agroalimentare, soprattutto per quanto riguarda la capacità di cogliere le opportunità che si stanno materializzando nei grandi mercati (un tempo chiamati “emergenti”), in particolare del continente asiatico. I tassi di sviluppo economico che stanno interessando questa area del pianeta – al pari di altri diversi Paesi – stanno portando alla nascita di una classe media (quella che invece in Italia sta praticamente scomparendo) in grado di acquistare prodotti di importazione a maggior valore aggiunto. Si pensi infatti che entro dieci anni, il valore dei consumi alimentari nei cosiddetti “Next-11”, e cioè nel gruppo di Paesi comprendente tra gli altri il Vietnam e la Corea del Sud, dovrebbe superare quello del Nord America o dei primi 5 mercati UE, aumentando di ben il 42%. Per quanto le nostre produzioni possano essere definite di qualità, è indubbio che se non saremo in grado di intercettare quanto prima questa domanda, ci penseranno sicuramente quei player globali citati precedentemente che, potendo contare su dotazioni competitive più strutturate, sono presenti in questi mercati già da diversi anni.
(© Osservatorio AGR)