24 Ottobre

Il sommerso agricolo vale quasi 6 miliardi di euro

I dati sono stati rilevati dall’Istat. Nelle campagne sfuggono ai dati di contabilità nazionale le attività generate con il lavoro irregolare. Ma il grosso dell’economia non osservata resta in capo al commercio, ai trasporti e ai servizi di alloggio e ristorazione.   

 

L’agricoltura italiana potrebbe muovere «ufficialmente» un valore aggiunto di circa 40 miliardi di euro l’anno. Sempre che dai dati di contabilità nazionale «emergesse» la quota di sommerso riconducibile al settore, o meglio ancora quanto l’Istat attribuisce, come valore complessivo, alla cosiddetta economia «non osservata», di cui una fetta è in capo anche all’agricoltura.

 

Vediamo meglio. Oggi, sulla base dei dati ufficiali desunti dai conti economici nazionali, che l’Istituto di statistica aggiorna con cadenza trimestrale dando conto della dinamica del Pil, il settore primario (agricoltura, silvicoltura e pesca) contribuisce con il 2% circa alla formazione del prodotto interno lordo italiano. Il resto è attribuito all’industria, alle costruzioni e al settore terziario, con quest’ultimo per buona parte rappresentato dal commercio e dai servizi alle imprese, compresi quelli finanziari e assicurativi.

 

Abbiamo detto fin qui dei numeri che appartengono al circuito dell’economia «in chiaro». Ma c’è dell’altro. Nel 2017 – basandosi sull’ultima rilevazione disponibile – il valore aggiunto generato dall’economia «non osservata» si è attestato, complessivamente, a poco meno di 211 miliardi di euro, stima l’Istat, con un aumento dell’1,5% rispetto all’anno precedente (erano 207,7 miliardi nel 2016). Stiamo parlando del 12,1% del Pil, che nel 2017 si è aggirato attorno ai 1.736 miliardi di euro.

 

Le principali componenti dell’economia sommersa sono rappresentate da tutte le attività volutamente celate alle autorità fiscali, previdenziali e statistiche. Dichiarazioni mendaci riguardanti sia i fatturati che i costi, tali da generare una sotto-dichiarazione del valore aggiunto. Ulteriori componenti del sommerso derivano dal Pil generato con il lavoro irregolare, dai fitti in nero, dalle mance e dalle riconciliazioni e quadrature dei dati economici nazionali effettuate nell’ambito di operazioni di carattere puramente statistico.

 

L’economia non osservata, che assorbe, oltre al sommerso, il valore delle attività illegali considerate nel sistema dei conti nazionali, rappresenta – come accennato – una percentuale anche del Pil realizzato nelle campagne italiane.

 

In questo caso ammonta a 5,7 miliardi di euro, stando ai conteggi dell’Istat, importo che andrebbe sommato al valore aggiunto agricolo ufficiale di 34,1 miliardi (dato 2017) per ottenere una stima effettiva del valore economico complessivo del settore primario.

 

Va anche detto che il sommerso agricolo rappresenta solo il 3% dell’intero valore dell’economia non osservata. Un dato che si mantiene a parecchia distanza dal 41,7% del sommerso economico correlato al settore del commercio all’ingrosso e al dettaglio, dei trasporti e magazzinaggio e delle attività di alloggio e ristorazione, in cui si genera “in trasparenza” molto meno del valore aggiunto totale, ossia il 21,4%.

 

Altro aspetto da considerare è che i sottostanti del sommerso agricolo riguardano esclusivamente il lavoro irregolare, in assenza di sotto-dichiarazioni che pesano invece sensibilmente nel terziario.

 

Ciononostante, l’incidenza del lavoro irregolare è più elevata nel settore dei servizi in cui raggiunge il 16,8%. Alti tassi di occupazione irregolare si registrano anche in agricoltura (si tratta del 18,4% dei lavoratori complessivamente impiegati nelle campagne, secondo l’Istat), nel comparto delle costruzioni (17%) e nel commercio, trasporti, alloggio e ristorazione (15,8%).

 

Nel settore industriale, in cui la diffusione del lavoro irregolare è invece contenuta (7,5%), il comparto della produzione di beni alimentari e di consumo presenta il tasso più elevato, pari al 9,3%.

 

Le statistiche dicono anche che su quasi 3,7 milioni di lavoratori irregolari equivalenti a tempo pieno, tra dipendenti e indipendenti, poco meno di 230.000 sono riconducibili al settore agricolo. Sono molti di più, circa 960.000, nel commercio all’ingrosso e al dettaglio, trasporti e magazzinaggio, attività di alloggio e ristorazione, mentre sfiorano i 300.000 nel settore istruzione, sanità e attività di assistenza sociale.

 

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