Il caro-noli mette a rischio il commercio mondiale
Gli alti costi delle spedizioni in container mettono a rischio la reputazione e la stabilità finanziaria delle imprese
Senza un intervento dell’Unione Europea la vicenda del caro-noli potrebbe portare al default molte imprese del commercio. Con l’aggravante di mettere a repentaglio forniture essenziali soprattutto nelle filiere alimentari, accentuando le derive inflazionistiche che hanno già catapultato ai massimi da 13 anni il caro-vita nei Paesi dell’eurozona.
Una situazione ormai insostenibile denunciata dalle associazioni Celcaa (imprese europee del commercio agroalimentare), Copa-Cogeca (rappresentanze agricole e del sistema cooperativo dell’Ue) e FoodDrinkEurope (voce del mondo industriale) in una lettera congiunta trasmessa alla Dg Commercio dell’Unione Europea.
«Oggi – scrivono le tre associazioni – la mancanza di capacità di trasporto porta ad aumenti dei costi che non possono essere assorbiti dai distributori europei legati da contratti a lungo termine. Per molti, l’attuale costo elevato delle spedizioni in container può avere esiti fatali, portando al rischio di fallimento».
«È in gioco – rimarcano i rappresentati dell’agrifood europeo – anche la reputazione dell’UE come partner commerciale affidabile», nel ruolo peraltro di primo esportatore mondiale di prodotti agroalimentari, con un valore di 184,3 miliardi di euro nel 2020.
I numeri danno conto di una situazione di gravità eccezionale. A fine ottobre 2020, i noli sulla rotta Asia-Nord Europa registrati dallo Shanghai Containerised Freight Index, indicatore di riferimento dei costi del trasporto marittimo, superavano i 1.000 dollari per Teu (misura standard dei container), spiegano le tre rappresentanze di categoria.
Quest’anno a metà giugno si erano già spinti oltre la soglia dei 6.300 dollari, ma «oggi si apprende che alcune aziende stanno pagando fino a 20.000 dollari per spedire un container da 12 metri da Shanghai a Rotterdam».
Una situazione che per il commercio agroalimentare, che coinvolge un’ampia gamma di merci deperibili, ha assunto connotazioni di forte criticità.
Nel lungo termine l’onda d’urto sui mercati europei rischia di propagarsi a tutti i livelli, generando in prospettiva impatti anche sulle entrate degli agricoltori e degli altri operatori della filiera.
D’altro canto, gli squilibri sono evidenti. A fronte di una domanda in rapida ascesa, dopo lo stop imposto dall’emergenza sanitaria, si registra un’offerta di container ancora contingentata e assolutamente inadeguata rispetto agli attuali tonnellaggi in giacenza ai porti di imbarco, dove emergono criticità anche di natura logistica.
Nel quarto trimestre 2020 – osservano le associazioni – lo shipping ha registrato solo un 4% di capacità aggiuntiva di trasporto lungo le rotte Est-Ovest rispetto al corrispondente periodo dell’anno precedente. Ma nello stesso arco temporale la crescita dei traffici è stata del 9,5%, un divario che ha generato inevitabili tensioni sui prezzi, alimentando una vera propria corsa all’accampamento di container e di spazi nelle stive delle navi mercantili.
Le implicazioni di lungo termine sulla catena agroalimentare dell’UE potrebbero depotenziare tutta la filiera, limitando le esportazioni sulle rotte transoceaniche e relegando il commercio a forniture di prossimità.
A sollecitare un intervento di Bruxelles era già stata, nei giorni scorsi, la Fondazione Filiera Italia, segnalando come «a quasi due anni dall’inizio della pandemia globale si registrano ancora costi di trasporto oltre i 10.000 dollari (aumentati di 3-4 volte) che non accennano a diminuire».
La nota riferisce di comportamenti speculativi e ingiustificati da parte delle principali compagnie di navigazione responsabili del commercio mondiale di container, con frequenti casi tra l’altro di «blank sailing», cioè di cancellazioni senza preavviso delle spedizioni.
Pratiche possibili solo in un sistema oligopolistico, dato che il trasporto marittimo mondiale per oltre il 45% è in capo ai tre principali corrieri internazionali e per oltre l’80% è nelle mani dei primi dieci vettori.
Come il traporto via mare, anche la produzione di container è appannaggio di pochi player globali e parla quasi una sola lingua, il cinese.
Un aspetto, anche questo, che suscita qualche inquietudine, considerando che la carenza di container, parallelamente allo shock energetico, sta provocando un effetto domino sui prezzi, con l’inflazione che da pochi settori si sta rapidamente estendendo ad altre voci di spesa.