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I possibili impatti del TTIP per l’agroalimentare italiano
TTIP: a che punto siamo
Il TTIP (Partenariato transatlantico per il commercio e gli investimenti) sembra essere entrato in una fase di stallo. Sebbene sia stato confermato il mandato alla Commissione europea a continuare il negoziato, le prossime elezioni politiche che si svolgeranno a brevissimo negli Stati Uniti da un lato e in Francia e Germania dall’altro hanno di fatto “congelato” il percorso negoziale avviato ormai diversi anni fa.
I valori alla base delle trattative
Ma quali sono gli interessi in gioco per le imprese agroalimentari? Per l’Unione europea, gli Stati Uniti rappresentano il principale cliente dei propri prodotti agroalimentari e il secondo – dopo il Brasile – in termini di fornitura, per un saldo commerciale che risulta positivo per oltre 6 miliardi di euro. Anche per l’Italia il ruolo degli Stati Uniti è di primo piano: dopo Germania e Francia, il mercato statunitense rappresenta la terza destinazione dell’export agroalimentare nazionale, assorbendo quasi il 10% dei 36,9 miliardi di euro collegati alle vendite oltre frontiera, grazie ad una crescita che nel giro di dieci anni ha superato il 50%. Una partnership che diventa ancora più rilevante nel caso del vino e dell’olio, per i quali gli USA rappresentano il principale acquirente; di contro, le importazioni riguardano principalmente derrate agricole (tra cui frumento, grano duro per la produzione della nostra pasta, soia e frutta secca) per un corrispettivo di circa 780 milioni di euro che, sommato alle importazioni di prodotti trasformati, arriva ad un valore di 1,1 miliardi di euro. Ciò non toglie come pure nel nostro caso il saldo commerciale risulti positivo, per un valore di oltre 2,5 miliardi di euro.
Le prospettive di crescita e i nodi più importanti
Al di là della situazione attuale, il mercato americano appare ancora più rilevante per il settore agroalimentare italiano in prospettiva: mentre per i prossimi anni i redditi tedeschi e francesi sono previsti stagnanti, quelli americani al contrario dovrebbero beneficiare di un’economia in sensibile crescita, con positive ricadute sul fronte dei consumi. Questi pochi ma rilevanti numeri dovrebbero essere sufficienti a comprendere l’attenzione che deve essere posta al negoziato in atto tra USA e UE avente l’obiettivo di rimuovere gli ostacoli al commercio e agli investimenti che attualmente ne caratterizzano le relazioni. Sì, perché a dispetto dell’imponente crescita messa a segno, le barriere tariffarie e (soprattutto) non tariffarie – come le differenze nei requisiti sanitari, ambientali, tecnici o normativi – che ostacolano le nostre esportazioni agroalimentari in tale mercato sono notevoli, spesso frutto di una “ritorsione” ai dazi e alle limitazioni imposte dall’Unione europea alle merci americane. E in effetti il grande interesse di entrambe le parti negoziali si concentra più sull’eliminazione delle barriere non tariffarie che di quelle tariffarie, essendo soprattutto le prime a generare gli incrementi più alti nei costi dei beni (e a rendere meno competitivi i prodotti agroalimentari italiani rispetto a quelli dei nostri diretti concorrenti).
Le barriere che frenano il commercio
La casistica è vasta: dall’obbligo di campionatura dei salumi italiani per analisi microbiologiche, che aumenta i tempi e i costi di deposito presso le dogane, al blocco e divieto di ingresso per prodotti ortofrutticoli e oli d’oliva, che presentano livelli di residui di fitofarmaci superiori ai limiti statunitensi ma a norma per quelli comunitari, senza ovviamente dimenticare i dazi che, proprio per i prodotti agroalimentari, raggiungono spesso i livelli più elevati. Tutte barriere che mettono in secondo piano altre questioni come il riconoscimento delle indicazioni geografiche, dato che se non vengono prima armonizzati questi requisiti tecnico-sanitari, i nostri prodotti Dop e Igp neppure arrivano sul mercato americano. Insomma, la partita in gioco per l’Italia è importante, soprattutto alla luce del calo strutturale che connota i consumi alimentari a livello nazionale e della struttura imprenditoriale su cui poggia il nostro settore, composta da quelle piccole e medie imprese che in una competizione globale sono più sensibili ed esposte ai vincoli tariffari e non tariffari.
(© Osservatorio AGR)