20 Gennaio
prezzi

I costi di produzione spingono in alto i prezzi della pasta

Per Felicetti (Unione Italiana Food) c’è un problema di accesso ai grani italiani. La replica di Coldiretti: «pagare il giusto prezzo agli agricoltori».

 

Innescata dal comparto energetico, dopo i rincari anche a tre cifre di gas e petrolio, l’inflazione si è trasferita nel carrello della spesa, incorporando gli aumenti dei prezzi alla produzione che hanno caratterizzato in questi ultimi mesi un’ampia gamma di referenze del food.

 

Emblematico il caso dei pastifici, pressati anche dal caro-grano, che per un effetto domino hanno annunciato incrementi dei prezzi «ex fabrica» attorno al 40% rispetto ai livelli di un anno fa.

 

I dati comunicati nei giorni scorsi alla stampa da alcuni noti brand industriali forniscono queste evidenze, giustificando i rincari con l’esigenza di salvare la marginalità operativa, fisiologicamente contenuta nella filiera grano-pasta.

 

C’è un problema oggettivo di accesso alla materia prima, sostiene l’Unione Italiana Food. Il presidente della sezione Pasta dell’organizzazione industriale, Riccardo Felicetti, ha evidenziato le difficoltà che gli utilizzatori industriali (molini e pastifici) stanno incontrando nel reperire il grano italiano, difficile da acquistare in questa fase di forti aumenti dei prezzi sui mercati internazionali.

 

I frumenti nazionali sono «appetibili», ha dichiarato Felicetti alla stampa, dal momento che la quotazione è cresciuta del 70%, meno di quanto sia aumentato il costo dei grani di importazione. Complici, riguardo a questi ultimi, anche i forti rincari dei noli marittimi e le difficoltà nel reperire i container con il protrarsi delle inefficienze logistiche che hanno caratterizzato tutta la prima fase dell’emergenza sanitaria da Covid-19.

 

Immediata la replica della Coldiretti: «per acquistare il grano italiano basta pagare il giusto prezzo agli agricoltori», scrive l’organizzazione agricola, riferendosi a situazioni del passato molto diverse da quella attuale.

 

Nonostante la sicurezza e l’appetibilità dei grani italiani, molte industrie, secondo la Coldiretti, hanno preferito continuare ad acquistare per anni sul mercato mondiale, secondo logiche speculative, anziché garantirsi gli approvvigionamenti con il prodotto nazionale, sfruttando l’opportunità offerta dai contratti di filiera.

 

Una miopia – riporta ancora la nota – che ha costretto gli agricoltori italiani a ridurre le superfici coltivate e a cercare mercati alternativi disposti a pagare prezzi più equi.

 

La situazione di eccezionale carenza d’offerta sul mercato del grano duro è dovuta alla grave siccità che quest’estate ha pregiudicato le rese nelle campagne del Nord America. Il Canada, con un raccolto di appena 2,6 milioni di tonnellate, secondo le ultime valutazioni ufficiali, ha perso il 60% dei volumi rispetto alla precedente campagna di produzione. Pesante anche la prospettiva sul fronte delle scorte, con il 40% di stock in meno a fine stagione e con giacenze ai minimi dal 1985.

 

Anche in Usa la produzione si è quasi dimezzata, ma oltre al deficit idrico, che ha caratterizzato i mesi primaverili ed estivi, ha pesato negli States il taglio degli investimenti.

 

Da notare che il Canada, primo esportatore mondiale di frumento duro, spedirà all’estero, entro la fine della campagna 2021-22, un quantitativo di appena 3,1 milioni di tonnellate, contro i 5,8 milioni dell’anno scorso (-46%).

 

Per quanto concerne l’Italia, le importazioni, nel dato ancora parziale dei primi nove mesi del 2021, sono scese al di sotto di 1,8 milioni di tonnellate, contro i 2,3 milioni dello stesso periodo del 2020, rileva l’Anacer, l’Associazione nazionale cerealisti.

 

L’export di paste, sempre nei primi tre trimestri dell’anno scorso, è sceso a meno di 1,5 milioni di tonnellate, da oltre 1,7 milioni, accusando una contrazione del 14%.

 

Intanto, secondo le previsioni del Coceral (rappresentanti europei degli operatori commerciali del settore) le semine a grano duro in Italia sarebbero aumentate quest’anno tra il 4 e il 5%. In condizioni di resa ordinarie è prevedibile che quest’estate si ottenga un raccolto di circa 4 milioni di tonnellate, pari a poco più della metà dell’intera produzione attesa nell’Unione Europea.

 

Il Canada dovrebbe tornare a rendimenti e raccolti normali, anche in considerazione di un possibile aumento degli investimenti. Ma sull’offerta mondiale peseranno le carenze di grano nei silos dei principali Paesi produttori, in un mercato che dovrebbe comunque registrare un graduale superamento degli attuali squilibri.

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