Grano duro, il termometro dei prezzi segna adesso febbre alta
Sulla piazza di Foggia le quotazioni hanno sfiorato la soglia di 500 euro/tonnellata, avvicinandosi al record del 2008. Scatta l’allarme costi per molini e pastifici.
Incendi, siccità e temperature roventi hanno pregiudicato gli esiti dei raccolti nordamericani. Ma anche in Europa la produzione di grano duro ha deluso le attese, andando ben sotto i risultati previsti a inizio stagione, soprattutto in Francia e Italia, dove a dare filo da torcere ai produttori sono state anche le gelate di aprile.
Un mix di fattori climatici negativi che aveva già alzato la temperatura dei prezzi a inizio campagna, prima della pausa agostana, quando i dati, almeno quelli canadesi (Ottawa è il primo produttore ed esportatore mondiale di frumento duro), erano ancora sotto la lente degli analisti.
La situazione, oggi più chiara, ha messo altra benzina sul fuoco dei rincari con la conferma di previsioni negative, anche peggiori rispetto a quelle di inizio estate.
A luglio, Italmopa, l’associazione di rappresentanza dell’industria molitoria, aveva già denunciato, a seguito di un ridimensionamento dei volumi mondiali, un maxi aumento dei prezzi, con incrementi di oltre 25%.
Una tendenza, come accennato, che è andata consolidandosi con la ripresa delle contrattazioni dopo la pausa di Ferragosto. Sulla piazza di Foggia, mercato benchmark per la rilevanza del distretto produttivo pugliese, sono bastate due sole sessioni per spingere le quotazioni a ridosso dei 500 euro/tonnellata. Per la precisione il listino, relativamente ai grani con le migliori caratteristiche qualitative, ha chiuso la scorsa settimana fino a 490 euro, avvicinandosi ai picchi del 2008, anno in cui i prezzi del grano duro raggiunsero un livello record, spinti anche da componenti speculative.
Le condizioni non sono le stesse dell’anno che precedette la grande depressione del 2008-2009, in piena bolla finanziaria. Ma gli aumenti sono della stessa portata, seppure meno condizionati dal pressing sui circuiti finanziari da parte di broker e fondi speculativi.
Dietro ai rincari ci sono oggi squilibri reali piuttosto evidenti. Si è di fatto materializzato quello scenario preconizzato dalla molitoria, caratterizzato, oltre che da una spirale inflazionistica delle quotazioni, da una oggettiva difficoltà nel reperimento della materia prima associata a una ridotta propensione alla vendita da parte dei detentori. Un atteggiamento motivato da aspettative ancora rialziste e da riscontri negativi soprattutto in Nordamerica, dove le rese sono state seriamente pregiudicate dagli sviluppi climatici.
In Italia, l’effetto congiunto delle gelata di aprile e della siccità di maggio avrebbe determinato nel Foggiano un calo produttivo tra il 20 e il 30%, stima Confagricoltura. Ma Coldiretti parla di perdite a livello regionale ancora più accentuate, attorno al meno 45%.
Oltre Atlantico, le ultime previsioni di Statistics Canada definiscono nel Paese un quadro fortemente deficitario, evidenziando un peggioramento anche sul piano qualitativo.
Il raccolto canadese, stando alle ultime valutazioni, dovrebbe accusare quest’anno una contrazione del 38% (-40% rispetto alla media degli ultimi cinque anni), scendendo a 3,8 milioni di tonnellate, minimo da otto anni, mentre l’export, con 3,1 milioni di tonnellate, dovrebbe di fatto dimezzarsi.
Ancora più accentuato – basandosi sulle indicazioni dell’Usda, il Dipartimento americano dell’agricoltura – il calo produttivo in Usa, dove gli analisti si attendono un meno 49% anno su anno e un raccolto di appena 950.000 tonnellate.
Anche a livello mondiale l’International grains council stima adesso una flessione produttiva del 2%, a 33,1 milioni di tonnellate.
Un risultato che porterebbe ai minimi da sette anni l’offerta globale, mentre gli stock di fine campagna dovrebbero toccare il punto più basso degli ultimi dieci anni.
Tornando ai prezzi, il caro-grano ha messo in allarme anche l’industria pastaria, che teme adesso pesanti ripercussioni sui costi di produzione. La situazione non è neanche delle migliori, considerando che l’export, dopo il forte aumento del 2020, sta registrando una significativa flessione. I dati Istat, al riguardo, rivelano nei primi cinque mesi di quest’anno una riduzione a volume del 17% su base annua. Ma a indietreggiare è anche il fatturato, con l’11% in meno di incassi rispetto al gennaio-maggio 2020.