10 Gennaio

Frumento, per metà del fabbisogno è ancora di importazione 

Servono più infrastrutture e meno burocrazia per evitare colli di bottiglia ai porti di sbarco. Maxi aumento nel 2019 per gli acquisti dall’estero di grano duro, boom di arrivi dal Canada.

 

Tra frumenti teneri e duri, di cui l’Italia è un «peso massimo» tra gli utilizzatori mondiali, le importazioni, necessarie a coprire un deficit strutturale, rappresentano ancora il 50% in media dei fabbisogni della trasformazione industriale.

 

Letto al contrario, le campagne italiane forniscono circa la metà della materia prima necessaria a produrre semole e farine, ingredienti che alimentano una produzione e un export, questo sì da primato, di paste e prodotti da forno.

 

Accrescere questo potenziale produttivo interno, per ridurre la dipendenza dall’estero, è un processo che richiede tempo e investimenti. I contratti di filiera si sono rivelati un valido strumento per attenuare la fisiologica debolezza delle aziende agricole, garantendo prezzi più remunerativi, e per alzare il livello qualitativo dei raccolti, differenziandoli da quelli dalla concorrenza internazionale. Ma tutto questo non basta. Le importazioni – osserva l’Anacer, l’Associazione nazionale cerealisti – mantengono un ruolo strategico nella filiera cerealicola nazionale, considerando tra l’altro che nell’ultimo lustro si è ridotta la capacità di autoapprovvigionamento in Italia di oltre il 20% nel caso del frumento tenero e di circa il 4% per il grano duro (se si guarda al comparto maidicolo la perdita appare ancora più rilevante).

 

C’è poi il fenomeno della volatilità dei prezzi, ribadito in occasione dell’ultima assemblea dell’Anacer, che complica un quadro di per sé già complesso. Il fattore clima è il principale responsabile dell’altalena dei listini, che riflette la «sinusoide» dei raccolti, rendendo inevitabilmente più incerto l’esito produttivo finale e condizionando in molti casi gli investimenti.

 

Altro aspetto evidenziato recentemente dall’Associazione dei cerealisti è il ritardo, tutto di marca italiano, sul fronte infrastrutturale, figlio di una burocrazia invadente che limita la capacità ai porti di sbarco delle merci, creando colli di bottiglia soprattutto nell’Adriatico, e che rallenta il trasporto di granaglie ai centri di stoccaggio.

 

Secondo l’Anacer, che attraverso l’attività commerciale delle imprese associate muove annualmente 20 milioni di tonnellate di importazioni cerealicole e un volume d’affari di 9 miliardi di euro, la burocrazia frena l’adeguamento e la realizzazione di nuove infrastrutture. Con l’aggravante di uno scenario globale reso più incerto dalla guerra commerciale tra Usa e Cina e da Brexit, fenomeni che alimentano la volatilità dei prezzi internazionali.

 

Le difficoltà nelle importazioni fanno dell’Italia un’eccezione nell’area Ue, osserva ancora l’Anacer, che ha snocciolato a dicembre anche gli aggiornamenti sul commercio con l’estero.

 

Al riguardo, i dati riferiti ai primi tre trimestri del 2019, basati sulle rilevazioni doganali dell’Istat, segnalano un generale incremento dell’import italiano di cereali in granella, con andamenti però contrastati tra i diversi prodotti. Da 4,3 milioni di tonnellate del gennaio-settembre 2018 gli arrivi dall’estero di frumento tenero sono scesi a 3,7 milioni (-14% circa), cedendo il primato per volumi di importazione al mais, con 4,4 milioni. Di contro sono aumentati a due cifre (+38%) gli acquisti di grano duro dall’estero, passati da 1,3 a quasi 1,8 milioni di tonnellate. Con i soli arrivi dal Canada – denuncia la Coldiretti – lievitati nel 2019 di 11 volte, dopo l’entrata in vigore dell’accordo di libero scambio fra l’Ue e il Paese nordamericano (Ceta).

 

Positivo il bilancio delle esportazioni di paste, con i primi nove mesi dell’anno appena concluso che ha decretato una crescita di oltre il 6% a volume e del 7% in valore. Il fatturato oltre confine si è spinto a 1,42 miliardi di euro, preannunciando un’altra annata da record se l’ultimo trimestre non cambierà la direzione dell’export.

 

Nel frattempo, scrive l’Associazione dei cerealisti, i prezzi delle commodity agricole e alimentari hanno segnato a novembre progressi per tutti i comparti ad eccezione dei cereali. I dati Fao rivelano in media un aumento delle quotazioni internazionali, misurate dall’indice sintetico Food price index, del 2,7% rispetto a ottobre e del 9,5% su novembre 2018, segnalando tuttavia una contrazione dell’1,9% per i cereali, in un contesto di maggiori pressioni concorrenziali.

 

L’agenzia delle Nazioni Unite ha diffuso anche una nuova previsione sulla produzione cerealicola mondiale, indicando con le ultime stime un aumento di oltre il 2% rispetto al 2018.

 

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