Embargo Russia: la fine si allontana e l’agroalimentare italiano ne paga le conseguenze
Embargo Russia: non sembra avviarsi alla conclusione…
Le recenti dichiarazioni del primo ministro russo Dmitrij Medvedev sull’embargo relativo alle importazioni di prodotti alimentari non lasciano presagire nulla di buono, in particolare per quanto riguarda una possibile fine di tale restrizione. Le attuali tensioni nei rapporti politici con i Paesi Occidentali e, a suo dire, la mancanza di volontà degli stessi di arrivare ad una conclusione condivisa hanno, infatti, portato, da un lato, l’Unione europea a prolungare le sanzioni nei confronti della Russia fino a giugno di quest’anno, dall’altro, Putin a firmare un decreto che prolunga le contromisure (embargo) fino alla fine del 2017.
…generando nuovi fornitori di derrate alimentari
Uno dei principali effetti generati dall’embargo è stato quello sia di indurre la Russia ad intensificare le relazioni commerciali con Paesi dell’Unione eurasiatica che di rafforzare l’agricoltura e l’industria alimentare nazionale, in una logica di maggiore competitività sul mercato interno ed internazionale. In effetti, guardando a quelli che sono oggi i principali fornitori di beni agroalimentari rispetto a quattro anni fa (cioè a prima che scattasse l’embargo), si evidenzia un quadro completamente diverso (Figura 1).
Figura 1 – Top Paesi fornitori di prodotti agroalimentari in Russia: un confronto 2013-2016 per i principali beni oggetto di embargo (% sui valori totali importati)
Fonte: elaborazioni su dati Un-Comtrade.
A seguito dell’embargo, la Bielorussia è diventato il primo Paese esportatore in Russia per quanto riguarda carni trasformate e prodotti lattiero-caseari. Per questi ultimi prodotti, il peso che la Bielorussia riveste sulle importazioni totali supera oggi il 75% contro il 38% di quattro anni fa, ma anche in merito alle conserve animali (ed ittiche), la crescita è stata rilevante (dal 35% al 58%).
Diverso il caso dell’ortofrutta, anche per ragioni di vocazionalità produttiva sebbene la Bielorussia sia comunque diventato il primo fornitore di mele della Russia, soppiantando così la Polonia costretta a riversare le proprie produzioni su mercati alternativi. Ecuador e Cina pesano congiuntamente per oltre il 30% di tutto l’import ortofrutticolo russo, contro un’incidenza pre-embargo di quasi la metà.
Meno import e più concentrato
Nel complesso, l’embargo da un lato ha ridotto le importazioni – cercando così di sviluppare, ove possibile, la produzione interna anche attraverso l’attrazione di investimenti esteri – e dall’altro ha ristretto il numero di fornitori. Basti infatti pensare che dal 2013 al 2016, l’import in valore di prodotti lattiero-caseari è calato del 42%, quello di conserve animali ed ittiche del 38%, quello di ortofrutta fresca e trasformata del 30%. Contestualmente, i primi 3 fornitori lattiero-caseari sono passati da un’incidenza sul totale dell’import di settore del 43% nel 2013 all’82% nel 2016; dal 49% all’80% nelle conserve animali ed ittiche; dal 32% al 38% nel caso dei prodotti ortofrutticoli.
Il danno subito dall’Italia
Considerando i soli prodotti agroalimentari oggetto di embargo, nel 2013 l’Italia esportava in Russia circa 250 milioni di euro di tali beni, di cui circa il 30% relativo a conserve animali. Sul totale dell’export agroalimentare di quell’anno – 33,5 miliardi di euro – si è trattato quindi di poca cosa (meno dell’1%), ma non bisogna sottovalutare l’effetto a catena derivante dalla pressione sui prezzi generata dall’afflusso di maggior produzione di altri competitor europei che, a causa del blocco russo, si è riversata sugli stessi mercati di sbocco dell’Italia. Basti pensare alle mele polacche o ai formaggi finlandesi che avevano nella Federazione russa il principale Paese di destinazione. Senza dimenticare le difficoltà che – una volta finito l’embargo – incontreranno le nostre imprese nel riallacciare i rapporti commerciali con gli importatori/distributori russi, nell’obiettivo di soppiantare gli attuali fornitori esteri.
(© Osservatorio AGR)