Effetto Covid, su vini e liquori una tempesta perfetta
Analisi di Federvini. A peggiorare la situazione sono i dazi Usa del 25% sugli spirits e lo scenario Brexit senza accordo. Nella Gdo, dopo la pausa estiva, torna il segno più sulle vendite di vini.
L’emergenza Covid e l’incertezza generale sui mercati mondiali stanno avendo un impatto considerevole, in termini economici, su due comparti di eccellenza del made in Italy, rappresentati da vini e spiriti.
Una tempesta perfetta – spiega Federvini, la Federazione industriale del settore – che non può passare inosservata soprattutto agli occhi delle istituzioni, con liquori e superalcolici, in particolare, soggetti in Usa ormai da un anno a un dazio ad valorem del 25%, ereditato dalla diatriba sugli aiuti all’industria aerospaziale. Un aspetto, questo, non secondario, dal momento che quello a stelle e strisce è il primo mercato di destinazione per gli spirits tricolore.
Considerando anche i vini, il beverage alcolico, al netto delle birre, coinvolge una platea di 340.000 aziende e un organico di oltre un milione di addetti, corrispondenti a circa il 5% della forza lavoro nazionale.
Un aggregato che, considerando anche l’indotto, sviluppa annualmente un giro d’affari di circa 40 miliardi di euro, un valore pari ad oltre il 2% del Pil.
Date le condizioni di sofferenza, non sarà possibile replicare queste cifre nel 2020, spiega Federvini, stimando che da ottobre dell’anno scorso a oggi (nel bilancio di dodici mesi) il valore della filiera si è ridotto di circa un terzo, scontando gli effetti della pandemia, soprattutto sul circuito della ristorazione e dei pubblici esercizi, e i freni alle esportazioni imposti dai dazi americani. La prospettiva di una Brexit senza accordo complica il quadro già compromesso, con possibili scenari peggiorativi anche per le vendite sull’importante mercato d’oltre Manica.
Per Sandro Boscaini, presidente di Federvini “occorre che le istituzioni operino per sostenere adeguatamente le nostre aziende e per evitare che il valore che conferiscono alla nostra economia continui ad essere indebolito”.
Quanto fatto per il mercato del vino – osserva ancora Boscaini – non appare sufficiente, mentre quello delle bevande spiritose è un settore che, fino ad oggi, non ha potuto beneficiare di alcuna misura di sostegno.
“Fermo restando ogni possibile supporto all’export per tutti i settori rappresentati, – ha aggiunto il presidente di Fedevini – oltre all’istanza di abrogazione del contrassegno di Stato, il settore spiriti necessita oggi anche di misure di maggiore impatto: una riduzione quantomeno del 5% delle accise sulle bevande spiritose e sui prodotti intermedi potrebbe, soprattutto in chiave prospettica, favorire una possibile ripresa del comparto”.
Volendo guardare “il bicchiere mezzo pieno”, alcuni spunti di ottimismo emergono dagli esiti della ricerca della società Iri, condotta per Vinitaly, focalizzata sui trend del canale off-trade, che esclude l’intero circuito extradomestico. Secondo lo studio, riferito al mercato italiano, nel periodo gennaio-ottobre 2020 le vendite di vino nella grande distribuzione organizzata sono aumentate del 6,9% in valore e del 5,3% a volume rispetto all’anno precedente. Una dinamica che incorpora il boom delle vendite nel periodo del lockdown, fase di punta che ha dato impulso soprattutto agli spumanti e alle etichette a denominazione di origine, riservando una discreta performance anche al reparto dei vini da tavola.
Altro aspetto da considerare è che i risultati positivi, spiega l’analisi Iri, sono stati conseguiti in un contesto di generale aumento dei prezzi (il rincaro medio è stato dell’ordine dell’1,4%) e di significativa riduzione delle offerte in promozione.
Da rilevare che la pandemia è stato finora il fattore che ha scandito le fasi di successo sul circuito intra-door: dopo la stabilizzazione del periodo estivo e il calo frazionale di settembre, infatti, le vendite di vino hanno ripreso a marciare in coincidenza con la seconda ondata dell’emergenza, mettendo a segno una crescita, relativamente ai volumi, del 2,8% nel mese di ottobre (il confronto è con ottobre 2019) e del 6,7% nel bilancio delle prime due settimane di novembre.
La crisi sanitaria ha determinato, in generale, anche sostanziali mutamenti nelle abitudini di acquisto, favorendo il retail di piccole dimensioni e l’online, cresciuto a tassi a tripla cifra. Il fenomeno delle vendite via web ha riguardato, nel 52% dei casi, consumatori che prima della pandemia non avevano mai acquistato food & beverage nella modalità e-commerce. Dalla ricerca emerge anche che il 47% dei nuovi acquirenti online continuerà a utilizzare questo canale abitualmente o con minore frequenza, anche se diverse situazioni torneranno al loro assetto pre-Covid – conclude Iri – riallineandosi al percorso tracciato dai trend storici.