Consumo di suolo: persi altri 57 km quadrati di territorio nazionale
In soli sette anni, tra il 2012 e il 2019, la cementificazione in Italia ha sottratto un potenziale agricolo produttivo di 3,7 milioni di quintali.
L’obiettivo “Consumo di suolo zero” resta una chimera in Italia. Con l’aggravante che il degrado del territorio e la perdita delle funzioni degli ecosistemi proseguono a un ritmo non sostenibile.
Lo rileva il Rapporto Ispra “Il consumo di suolo in Italia 2020”, pubblicato nei giorni scorsi, che attesta in media la perdita di circa 16 ettari al giorno. Un incremento – osservano gli esperti dell’Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale – che, purtroppo, non mostra segnali di rallentamento e che, in linea con la dinamica del recente passato, sta facendo perdere al nostro Paese quasi due metri quadrati di suolo al secondo (57 milioni di metri quadrati nell’intera annata 2019).
Sono numeri che dimostrano l’inefficacia delle politiche a tutela del suolo e la mancanza di un quadro di indirizzo omogeneo a livello nazionale.
D’altro canto l’Italia ancora molto lontana dagli obiettivi europei, che prevedono l’azzeramento del consumo di suolo netto, ovvero il bilancio tra il consumo di suolo e l’aumento di superfici naturali attraverso interventi di demolizione di edifici, deimpermeabilizzazione e rinaturalizzazione. Ci sono altri due aspetti preoccupanti. Il primo è che il rallentamento del consumo di suolo, sperimentato negli anni della crisi economica, è di fatto terminato. Ma c’è anche l’evidenza che il livello di artificializzazione e di conseguente impermeabilizzazione del territorio, sta determinando la perdita, spesso irreversibile, di aree naturali e agricole.
Si consideri al riguardo che in soli sette anni, tra il 2012 e il 2019, la produzione agricola complessiva ha perso, per effetto del cambiamento di destinazione del suolo, un potenziale di 3,7 milioni di quintali. Nel dettaglio – calcolano in un’analisi congiunta Ispra e Crea – sono usciti dal circuito produttivo 2 milioni e mezzo di quintali di seminativi e 710.000 quintali di foraggere. A queste perdite si aggiungono quelle dei frutteti, per 266.000 quintali, e dei vigneti per altri 200.000 (-90.000 gli oliveti).
Il danno economico derivante da queste perdite di produzione è stimato attorno ai 7 miliardi di euro.
Va anche considerato che le aree perse degli ultimi sette anni garantivano in precedenza, oltre alla fornitura dei prodotti agricoli nei quantitativi indicati, 25.000 quintali di prodotti legnosi, lo stoccaggio di due milioni di tonnellate di carbonio, l’infiltrazione di oltre 300 milioni di metri cubi di acqua piovana che adesso, scorrendo in superficie, non sono più disponibili per la ricarica delle falde, aggravando di conseguenza la pericolosità idraulica dei territori coinvolti.
Altro aspetto da evidenziare è che il consumo di suolo è avvenuto anche in aree protette, seppure a un ritmo meno intenso rispetto allo scorso anno, e in aree vincolate per la tutela paesaggistica.
La geografia dei cambiamenti, in cui le aree protette e agricole sono state sostituite da nuovi edifici, infrastrutture, insediamenti commerciali, logistici, produttivi e di servizio, conferma il primato del Veneto, seguito dalla Lombardia. Anche se il fenomeno – scrive l’Ispra – sembra intensificarsi e accelerare lungo le coste siciliane e della Puglia meridionale; gradi elevati di trasformazione permangono inoltre su quasi tutta la costa adriatica.
A livello provinciale il “suolo artificiale” cresce nel Veronese e nelle province di Brescia, Roma e Treviso.
In generale, lungo le coste, già cementificate per quasi un quarto della loro superficie, il consumo di suolo cresce con un’intensità 2-3 volte maggiore rispetto a quello osservata nel resto del territorio.
E l’aspetto più preoccupante è che non c’è un legame tra gli andamenti demografici e il trend del consumo di suolo.
Al contrario, spiega il Rapporto, si continua ad assistere alla crescita delle superfici artificiali anche in presenza di stabilizzazione, in molti casi addirittura di decrescita, della popolazione. Nel 2019 i 57 km quadrati di nuovi cantieri e costruzioni si sono avuti in un Paese che ha visto scendere di oltre 120.000 unità il numero di abitanti. Di fatto, il cemento avanza anche se la popolazione decresce. E a questo ritmo, spiegano gli esperti, gli scenari di trasformazione del territorio italiano non sono positivi. Si stima che alle attuali condizioni il nuovo consumo di suolo in Italia investirà una superficie di 1.556 km2 nei prossimi trent’anni. Un valore molto lontano dagli obiettivi di sostenibilità dell’Agenda 2030 che, sulla base delle attuali proiezioni demografiche, puntano a un aumento netto delle aree naturali di 316 km quadrati.