Clementine: il clima riduce i raccolti, ma le quotazioni restano al palo
Avvio deludente della campagna commerciale. L’andamento meteorologico, in particolare il caldo anomalo di giugno, ha causato una diminuzione attorno al 30% della produzione italiana. Nessuna pressione dell’offerta, ma a fare il prezzo è la grande distribuzione che non lascia margini di guadagno alle aziende agricole.
La situazione non può essere neanche lontanamente paragonata a quella dello scorso anno, quando un maxi raccolto aveva messo in ginocchio il mercato nazionale delle clementine, spingendo i prezzi su livelli addirittura inferiori ai costi di produzione.
Eppure, nonostante il forte calo produttivo di quest’anno, riscontrato non solo in Italia ma anche nel più grande player continentale, rappresentato dalla Spagna, il mercato sta deludendo gli operatori. Colpa della grande distribuzione organizzata (Gdo), sostengono le rappresentanze agricole, con la Coldiretti che denuncia vendite a prezzi stracciati per effetto delle aste a doppio ribasso della Gdo, che vanificano ogni possibilità di guadagno per gli agricoltori.
Dinamiche che sembrano contrastare con i fondamentali di un mercato, come accennato, che non registra quest’anno surplus d’offerta, né squilibri particolari rispetto alla domanda, con il consumo che sembra anzi tenere il passo.
Per Confagricoltura l’andamento climatico, in particolare il caldo anomalo di giugno, ha causato una sensibile diminuzione dei raccolti in Italia, con tagli attorno al 30% rispetto alla scorsa annata. Ma il basso livello dei prezzi – osserva l’organizzazione agricola – impone una riflessione da parte di tutti i rappresentanti della filiera, chiamati a valutare con urgenza la situazione per migliorare, nell’interesse generale, le prospettive della campagna.
C’è il rischio concreto che andando avanti di questo passo qualsiasi sforzo in iniziative di valorizzazione commerciale del prodotto nazionale venga vanificato. L’istituzione dell’Igp “Clementine di Calabria”, che ha richiesto impegno e investimenti su più fronti, non sta dando i risultati sperati, alla luce dei prezzi che il mercato riconosce al prodotto italiano, mettendolo sullo stesso piano di quello estero, che non sempre eccelle per qualità.
Per Coldiretti Puglia le vendite sottocosto tra i banchi della grande distribuzione stridono rispetto agli esiti produttivi di quest’anno, che nel Tarantino, area vocata nella produzione di clementine, mostrano scarti negativi di almeno il 50% su base annua.
Una produzione dimezzata, o comunque in calo del 30-40% a seconda delle zone, non può spuntare prezzi in campagna inferiori a 70-80 centesimi al chilo, valore che, a giudizio di Coldiretti Calabria, garantirebbe un margine minimo di remuneratività per i produttori di clementine.
Eppure, a giudicare dai listini di alcune insegne della grande distribuzione, questo livello è più vicino al prezzo finale pagato dal consumatore che a quello all’origine riconosciuto all’azienda agricola, al netto peraltro dei costi di trasporto e di condizionamento.
Anche in Spagna, nel frattempo, le prime valutazioni danno per acquisito quest’anno un calo a doppia cifra dei raccolti di agrumi. L’Associazione valenciana degli agricoltori prevede una contrazione del 20-30% rispetto alla scorsa campagna, con cali più significativi per i piccoli agrumi rispetto ad arance, limoni e pompelmi. Nel dettaglio, per le clementine si stima una riduzione di oltre il 30%, mentre il resto degli agrumi dovrebbe cumulare una perdita attorno al 20%.
Il dato non tiene conto, peraltro, degli effetti sulla produzione associati ai frequenti casi di abbandono tra gli agrumicoltori spagnoli, disincentivati dai bassi prezzi di questi ultimi anni, fenomeno che potrebbe tradursi nella perdita di circa il 10% delle superfici destinate a queste colture.
In Italia, secondo l’Istat, le coltivazioni agrumicole interessano un’area di 140.000 ettari circa, di cui 82.000 destinati alla produzione di arance e poco meno di 26.000 a quella di clementine.
Le aziende, per quanto attiene alla fase agricola, ammontano a poco più di 60.000, per due terzi concentrate in Sicilia e Calabria e per oltre l’80% con una superficie media inferiore ai 3 ettari. Quello che emerge, dai dati strutturali sul comparto agrumicolo nazionale, è un’eccessiva frammentazione del tessuto produttivo e una scarsa propensione all’associazionismo e alla cooperazione. Due caratteristiche che limitano fortemente l’aggregazione dell’offerta, depotenziando contrattualmente le aziende agricole nei rapporti con gli operatori del trade e della grande distribuzione organizzata.