Cereali, torna a spingere alle frontiere il grano duro canadese
Segnano il passo a contrario le importazioni di frumento tenero, mais e orzo. La bilancia commerciale chiude i conti in passivo, ma il disavanzo si riduce del 35% nei primi quattro mesi dell’anno.
Tirano il freno nel 2020 le importazioni di cereali, ad eccezione del grano duro, che torna a spingere alle frontiere italiane.
A preoccupare gli agricoltori, che nel distretto pugliese, altamente specializzato, hanno perso quest’anno anche qualche punto di resa per via della siccità, è il pressing dei frumenti canadesi in diretta competizione con il prodotto nazionale, in una fase peraltro critica per la formazione dei prezzi, a operazioni di raccolta appena concluse.
Nel complesso, per effetto di andamenti contrapposti, le importazioni di prodotti cerealicoli, derivati inclusi, stanno mostrando una dinamica totalmente piatta sia a volume che in termini valutari. L’ultimo riscontro sui flussi dall’estero l’ha fornito l’Anacer, l’associazione dei cerealisti, basando la sua analisi sui dati provvisori dell’Istat aggiornati al mese di aprile.
Nel bilancio dei primi quattro mesi dell’anno, spiega l’associazione, gli arrivi dall’estero di frumento tenero si sono ridotti di 81.000 tonnellate, corrispondenti a una contrazione di oltre il 5% rispetto allo stesso periodo del 2019.
Stessa evidenza per le importazioni di mais, con 113.000 tonnellate in meno anno su anno e una variazione negativa anche in questo caso superiore a 5 punti percentuali. Per l’orzo le statistiche certificano una flessione più robusta, di circa il 12%, che ha alleggerito di 20.000 tonnellate gli arrivi dall’estero.
Resta, come accennato, l’evidenza di una chiara tendenza alla crescita delle importazioni di grano duro, con il 42% di progressione su base annua e un incremento di 278.000 tonnellate in termini assoluti.
Dal Canada, primo produttore ed esportatore mondiale di grano duro, si è registrato a tutto aprile un boom di arrivi, con 368.000 tonnellate, un volume quasi triplicato se rapportato alle 134.000 dei primi quattro mesi del 2019.
Per Coldiretti è il risultato dell’inarrestabile andirivieni di navi provenienti anche da porti di transito come Port la Nouvelle e Gibilterra, che scaricano merce ai terminal di Bari e Manfredonia.
Oggi – osserva ancora l’organizzazione agricola – l’Italia paga lo scotto di anni di disattenzione e abbandono che nell’ultimo decennio hanno portato alla scomparsa di un campo su cinque, dopo la perdita di quasi mezzo milione di ettari coltivati a frumento duro. Una situazione aggravata dalla concorrenza sleale delle importazioni soprattutto da paesi che non rispettano le stesse regole di sicurezza alimentare e ambientale in vigore in Italia, Canada in primis, dove il grano duro, destinato all’industria pastaria, è soggetto a trattamenti con l’erbicida glifosato in preraccolta, modalità vietata sul territorio nazionale dove la maturazione delle spighe avviene con il calore del sole.
Per Italmopa (industria molitoria) il fabbisogno annuale di 5,8 milioni di tonnellate di grano duro rende l’Italia, che è il primo produttore ed esportatore mondiale di pasta, fortemente dipendente dall’estero.
L’organizzazione industriale stima quest’anno un raccolto nazionale di 3,9 milioni di tonnellate, non tutti destinati alla produzione di semole. Almeno 300.000 tonnellate sono assorbite dall’export, dalla produzione di sementi o declassate ad altri usi. Questo elemento – stima Italmopa – riduce l’effettiva disponibilità di materia prima nazionale e incrementa, inevitabilmente, le previsioni di importazioni per il 2020 ad almeno il 40% del fabbisogno.
Tornando ai dati dell’Anacer, è interessante osservare che sul fronte delle esportazioni,
considerando anche i trasformati a base di cereali, il risultato del primo quadrimestre 2020 ha fatto emergere un aumento sia nelle quantità (+19,3%) sia nei valori (+21,9%), rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente.
Un risultato essenzialmente ascrivibile all’ottima performance delle vendite all’estero di paste italiane che, nel periodo in esame, hanno potuto sperimentare a volume una crescita del 27% rispetto al gennaio-aprile 2019, che sale al +30% nei corrispettivi in valore.
In generale – conclude l’Anacer – i movimenti valutari relativi all’import-export del settore cerealicolo, tra prodotti in granella e trasformati, hanno determinato un disavanzo valutario di poco inferiore ai 500 milioni di euro, con un calo del 35% su base annua.