12 Marzo
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Agroalimentare, il 2019 mette altra benzina nei motori dell’export

Made in Italy sempre più apprezzato nel mondo. Il fatturato estero balza al livello record di 44,6 miliardi di euro (+5,2% sul 2018). Corrono le vendite negli Usa nonostante i dazi.

 

Ancora un anno sugli scudi per l’export del food & beverage tricolore.

 

Nel 2019 gli scambi con l’estero dell’agroalimentare italiano hanno sperimentato un generalizzato incremento, pur mostrando ritmi diversi, molto più accelerati per l’export rispetto alla dinamica delle importazioni.

 

I prospetti elaborati da Confagricoltura sui conti con l’estero del settore certificano, sulla base dei dati Istat, risultati complessivamente positivi: il valore delle esportazioni è cresciuto del 5,2% rispetto al 2018, mentre l’import è aumentato di un più modesto 1,4%.

 

L’analisi mette in luce due risultati particolarmente significativi. Innanzitutto il balzo record delle esportazioni agroalimentari a 44,6 miliardi di euro, sia pure con andamenti a doppia velocità, positivi per l’insieme dei prodotti lavorati, vale a dire per bevande e alimenti trasformati, cresciuti del 6,6% a 37,8 miliardi, negativi per l’insieme delle materie prime agricole e dei prodotti allo stato fresco, come gli ortofrutticoli. Questo secondo aggregato ha subìto nel complesso una battuta d’arresto, cedendo l’1,6% su base annua e realizzando all’estero un giro d’affari di 6,8 miliardi di euro.

 

L’altra evidenza è data dal netto miglioramento dei conti con l’estero del settore. Come noto la bilancia commerciale agroalimentare è strutturalmente in passivo, essendo il Made in Italy principalmente «di lavorazione» e quindi ad alto consumo di materie prime agricole. Questa caratteristica denota tuttavia una forte dipendenza nell’approvvigionamento dall’estero di commodity alimentari di cui necessita l’industria, ad iniziare dai grani per la produzione di farine, paste e prodotti da forno, dalle materie prime per le lavorazioni casearie, da zucchero, cacao, nocciole e altri ingredienti di base.

 

Si consideri – spiega l’analisi di Confagricoltura – che per lo shopping all’estero di soli prodotti agricoli l’Italia ha staccato l’anno scorso un assegno di oltre 15 miliardi di euro a cui si aggiunge una spesa di altri 30 miliardi per l’import del food & beverage lavorato. Un esborso complessivo di 45,5 miliardi che lascia un «buco» nei conti del 2019 di 879 milioni di euro. Guardando il dato dallo specchietto retrovisore non è molto, se si considera che appena un anno prima il disavanzo della bilancia agroalimentare aveva sfiorato quota 2,5 miliardi e che nel 2017 aveva rasentato la soglia dei 4 miliardi, abbondantemente superata nel 2016.

 

Il netto miglioramento dei conti emerge anche dal confronto anno su anno, con il saldo negativo sceso in soli dodici mesi di un eloquente -64%.

 

«La reputazione internazionale del Made in Italy agroalimentare – scrivono gli analisti – costituisce indubbiamente una risorsa molto importante per il nostro Paese, giustamente enfatizzata anche nei programmi politici di sviluppo dell’agricoltura. Ma deve far riflettere la quinta posizione dell’Italia, quanto a valore dell’export agroalimentare, nell’Unione europea, dove i Paesi Bassi, che hanno una superficie agricola pari al 15% della nostra, esportano per quasi il doppio».

 

Fatturati più elevati oltre confine si osservano anche per l’agrifood tedesco, francese e spagnolo, mentre l’Italia precede il Belgio ma solo da due anni, staccando invece di netto il Regno Unito.

 

Per Coldiretti, quello dell’anno scorso è un risultato straordinario. Il prodotto agroalimentare più esportato dall’Italia – spiega l’organizzazione agricola – è il vino con 6,4 miliardi di fatturato estero, superiore alle vendite sul mercato interno.

 

Quasi due terzi delle esportazioni agroalimentari italiane sono destinate ai partner dell’Unione europea (+3,6% nel 2019). Fuori dall’Ue il maggiore sbocco commerciale è rappresentato dagli Usa, quarto per valore dopo Germania, Francia e Regno Unito.

 

Da rilevare che oltre Atlantico le spedizioni hanno potuto registrare in termini valutari una crescita dell’11% nel 2019, nonostante i dazi di Washington. Più attenuata la crescita in Germania (+2,9%), mentre in Regno Unito l’effetto Brexit ha tenuto a freno le vendite, pressoché invariate rispetto ai livelli dell’anno precedente.

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