Agroalimentare, anticiclico solo per metà con il coronavirus
Nuove logiche nei consumi. Cambiano i comportamenti di acquisto degli italiani. Senza ristorazione e con meno sbocchi oltre confine è crisi per il food di alta gamma.
In lista ci sono prodotti con tripla A e referenze che hanno invece subìto clamorosi downgrade. Con un’accortezza da usare nella lettura dei punteggi assegnati, dato che gli score non sono frutto dei giudizi delle agenzie di rating, ma dei comportamenti di acquisto dei consumatori. Le loro scelte, seppure inizialmente dettate dal panico, stanno modificando la “scala dei valori” di generi alimentari e bevande, secondo le nuove logiche dettate dall’economia dell’emergenza.
La riprova sono i divari negli andamenti dei prodotti agroalimentari, osservati analizzando le dinamiche di acquisto di queste ultime settimane, che riflettono nei trend le prerogative di una fase economica recessiva non convenzionale.
L’anticiclicità che caratterizza il settore, con una tendenza univoca solitamente contraria alla direzione del Pil in caso di recessione, non trova un riscontro nei differenti andamenti tra gruppi di categorie, determinati dalla selettività degli acquisti finali.
Come spiega in un’analisi la sezione agroalimentare della Cna (imprese artigiane), un primo divario è associato alla chiusura del canale horeca, in particolare delle ristorazione, che ha avuto un impatto fortemente negativo sui prodotti a posizionamento alto e medio-alto, ad iniziare da vini e formaggi.
Nel caso del Gorgonzola, secondo il Consorzio di tutela le vendite hanno subìto una flessione su base annua del 31% nel solo mese di marzo, con una perdita fino al 65% registrata sui circuiti all’ingrosso ed extradomestici. Anche l’export del formaggio erborinato sta mostrando i primi segnali di debolezza e le prospettive sono anche peggiori a causa dei provvedimenti restrittivi, rileva ancora il Consorzio.
Senza bar, ristoranti e alberghi e a seguito delle cancellazioni degli ordini da parte dei buyer esteri, il vino archivia perdite del 70% nel Cuneese, secondo la Coldiretti. Fuori dalla Gdo, le etichette toscane, spiega Confagricoltura, hanno ceduto il 90% del fatturato, ma un grosso danno lo sta facendo, in parallelo, l’azzeramento dei flussi turistici e la sospensione degli eventi fieristici. Male anche in Puglia, dove si stima una perdita economica a carico della vitivinicoltura regionale di oltre il 35%, con punte del meno 90% per le cantine storicamente impegnate nell’extra-door.
Come accennato, ci sono anche prodotti che al contrario hanno beneficiato di una forte spinta della domanda finale. Tra gli ortofrutticoli si segnalano i casi di successo degli agrumi e delle patate, nel grocery (food confezionato) quelli di risi, paste e farine. Dinamiche che potrebbero anche influenzare le prossime decisioni di investimento in alcune filiere.
Sul fronte opposto, un altro caso emblematico è quello dei carciofi, con una buona parte del raccolto rimasta in campo e con prezzi in campagna scesi del 60-70% rispetto a un anno fa.
C’è un’altra grande filiera, quella dei salumi e delle carni suine – denuncia l’Assica, l’associazione industriale di categoria – che sta soffrendo per le difficoltà logistiche e i provvedimenti di lockdown dei principali paesi importatori. In conseguenza della sola chiusura dell’horeca è andato in fumo oltre il 20% del fatturato, per valori superiori a 230 milioni di euro mensili.
Più in generale, le macro tendenze, in un contesto di recessione globale – la più severa, secondo il Fondo monetario internazionale, dalla Grande depressione del 1929 – segnalano in prospettiva fenomeni di deglobalizzazione e di destrutturazione delle catene della produzione mondiale che hanno mostrato, in questa fase di grave emergenza, tutta la loro debolezza.
Difficile stimare quale sarà il danno per l’agroalimentare e in quanto tempo potrà recuperare almeno in parte le perdite, trattandosi di un settore che conta oltre un milione di imprese e 3,6 milioni di addetti.
Una platea costituita da 700.000 aziende agricole, 70.000 industrie alimentari e 300.000 esercizi della ristorazione. Realtà a cui si affianca una rete retail di oltre 200mila punti vendita, tra ipermercati, supermercati e discount alimentari, includendo nel computo anche i minimarket e il piccolo dettaglio alimentare, più aderente alle nuove necessità.
Non ultimo l’e-commerce, risorsa preziosa in tempi di pandemia destinata ad assumere un ruolo di rilievo nel contesto distributivo alimentare. La sua crescita è a tripla cifra, spiegano gli analisti di Nielsen, con le vendite online che stanno avanzando in questi giorni a un tasso anno di oltre il 160%.